di Marcello Buttazzo –

Qualche anno fa, il parlamento catalano con una decisione rivoluzionaria si espresse contro la corrida, approvando una proposta di legge di iniziativa popolare.  Da anni, in Spagna soprattutto, si discute sulla necessità o meno di fare a meno della corrida, di non considerarla più alla stregua d’uno sport. Ma ci chiediamo: è lecito eliminare dalla storia una tradizione culturale antica, che comunque ancora ha largo seguito? Possiamo dire che nel caso in cui la tradizione sia palesemente crudele, forse, non è un oltraggio alla civiltà assumere dei correttivi, dei dovuti aggiustamenti. La viva speranza degli animalisti è che la corrida (e altre pratiche, ammantate di cultura o di religiosità, che prevedono lo sfruttamento, l’annientamento e la derisone delle bestiole) venga soppressa presto dappertutto. Una pratica efferata, costeggiata di simboli, significati, che però resta inequivocabilmente un arbitrio dell’uomo, una truce violenza perpetrata ai danni degli animali. Di certo, la corrida non può essere assimilata ad uno sport. Qualsiasi competizione agonistica si fonda sul rispetto dell’avversario, e non sulla feroce prevaricazione, sulla sistematica mattanza. Il toro afflitto di rosso sangue, trafitto, che crolla, non è la più pura delle immagini mitologiche: l’uomo dovrebbe sognare armonia, pace, e non violenza, non l’ignobile sopraffazione. In questi anni, il grande filosofo Fernando Savater, su questa questione, ha fatto sentire la sua autorevole voce. Nella fattispecie, dissonante, inopportuna, fastidiosa. Il filosofo con un’analisi raccapricciante, tempo fa, sostenne che “proibire la corrida per legge è un abuso, un’arroganza morale. Abbiamo doveri etici solo verso gli uomini. L’uomo conosce la morte. L’animale no”. Savater disconosce il suo stesso pensiero. Per anni, ci ha impartito lezioni sull’etica della responsabilità. Ora dimentica che l’homo sapiens sapiens, massimo gradino della scala filogenetica, ha l’obbligo morale di preservare una certa purezza degli ecosistemi e di prendersi cura degli animali che soffrono, patiscono, sentono il dolore. C’è una parte vitale e florida della filosofia moderna, che da tempo prospetta la necessità di disegnare una Carta dei diritti allargata, estesa anche ad alcuni animali più evoluti. Qui non si tratta di essere, per forza, animalisti tout court. La questione è più lineare: l’uomo è iscritto con gli animali nel grande libro della Natura, non può sentirsi magicamente esonerato da alcuni doveri di decenza. Il filosofo spagnolo ha affermato incredibilmente: “La corrida è una festa piena di simboli e d’arte, per me è molto meglio d’una partita di calcio”. Che dire? Purtroppo, Savater non ha mai giocato a pallone e, comunque, di sport non s’intende proprio.

Marcello Buttazzo