di Marcello Buttazzo – La vita che sfiorisce, che finisce, è un terreno di confine, delicato: ogni individuo vorrebbe terminare gli ultimi giorni senza patire sofferenze estreme, magari dipartire ridendo fra le braccia della propria donna o del proprio amato, conservando negli occhi il viso d’un bimbo o i colori soffusi e rosa d’una alba solitaria e fremente al mare. La vita che finisce è materia vibratile e viva per ogni cittadino, il quale si rapporta al tempo che passa e scorre, corre verso altri lidi. Negli anni passati, abbiamo dovuto patire toni grevi e gravemente bipolari d’una politica assurda e rozza (almeno sulle questioni bioetiche), mai pacificatoria e risolutiva, che per lungo tempo ci ha frammentati, ci ha fatto indossare artificiosamente a forza le scolorite casacche del tifo. Per alcuni paladini della politica della convenienza e dell’estremo rigore confessionale, la vita veniva trasformata in una partita di pallone: da una parte i virtuosi paladini dei cosiddetti valori con la “V” maiuscola; dall’altra, gli insensibili fautori del nichilismo morale. Ovviamente, non è così. Nel procedere dell’esistenza ordinaria, non esistono spregiudicati alfieri dei disvalori. Da noi, giorno e notte, una moltitudine di esseri umani conosce il travaglio e il sale sulla ferita, in un contatto diretto con la realtà effettiva delle cose. Questa umanità silenziosa pretende dalla politica risposte adeguate, esaustive, liberali. Per anni ci siamo interrogati: “È giusta l’alimentazione forzata di un malato senza la minima prospettiva di guarigione? Può il progresso della medicina annullare la capacità di decisione dell’uomo? Il malato può disporre della propria vita? E soprattutto: può considerarsi vita quella di chi patisce sofferenze intollerabili? Quesiti fondamentali, legittimi, che scuotono le anime sensibili. La biopolitica non dovrebbe mai esasperare i toni, scivolando su perigliosi crinali di incomunicabilità. Fortunatamente, la legge approvata, ad aprile, alla Camera, sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento con larghissima maggioranza va nella direzione d’una sensata e umana e razionale accettazione della realtà. La nuova normativa tutela il diritto alla vita, alla salute, ma anche il diritto alla dignità e all’autodeterminazione e dispone che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero o informato della persona interessata. Una persona maggiorenne capace di agire ha il diritto di accettare o di rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia. La nuova legge sul testamento biologico, se dovesse passare al Senato, riconosce finalmente idratazione e nutrizione forzata come “trattamenti sanitari”, perché la loro somministrazione può avvenire su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi sanitari. Insomma, è validissimo l’assunto antropologico: meritoriamente i deputati della Camera hanno ammesso che l’idratazione e l’alimentazione artificiali non sono affatto “sostentamento vitale irrinunciabile”. Purtroppo, negli anni passati, i “devoti” parlamentari del trasversale “partito della vita” avevano condizionato incisivamente il raggio d’azione, la prospettiva e gli intendimenti dell’etica pubblica.

Marcello Buttazzo