di Antonio Stanca –

È un fenomeno che si diffonde, si aggrava sempre più quello dello scontro armato, della guerra tra popoli che sono rimasti lontani dagli sviluppi, dai progressi del mondo occidentale, che non hanno ancora risolto vecchi problemi, non hanno ancora definito i loro confini, acquisito una loro autonomia, identità. In queste aree geografiche si combatte, si uccide e raccapriccianti sono le immagini che, attraverso i mezzi televisivi o telematici, giungono di soldati armati di mitragliatrici che per le strade, tra le case, sparano contro i loro nemici, di carri armati, di aerei che bombardano senza tregua e senza tener conto dei civili indifesi che spesso rimangono feriti o muoiono. Si spara, si uccide mentre in altre parti del mondo si vive normalmente, civilmente: sono due realtà completamente diverse che, però, stanno insieme da tempo e che non mostrano di voler finire. Il mondo moderno non è fatto solo di progresso ma anche di violenza, di guerra. Questo sembra sia diventato un suo aspetto, un suo elemento. A differenza del passato, quando le guerre finivano e si giungeva a degli accordi conclusivi, oggi la guerra c’è sempre e gli accordi, anche se ci sono, spesso non vengono rispettati. Vane, pertanto, sono risultate le tante promesse, previsioni, speranze che solo qualche decennio addietro avevano fatto pensare alla modernità come alla fine di ogni conflitto, come alla possibilità di risolvere in maniera pacifica ogni contrasto, che avevano condannato la guerra perché segno d’inciviltà, di barbarie, impossibile da conciliare con una vita che procedeva all’insegna dell’emancipazione, del bene comune. E’ successo, invece, che accanto al bene ci sia oggi il male, accanto alla pace la guerra, accanto alla civiltà la barbarie, accanto alla vita la morte.

Mentre si costruisce si distrugge: questo è il segno della modernità e a renderlo ancor più allarmante interviene la ripetuta, efferata violenza delle tante azioni terroristiche che ormai da tempo vengono compiute ai danni del mondo civile e che ancora non si sa se attribuire ad un bisogno di rivolta, di rivendicazione, di competizione o soltanto all’intento di diffondere uno stato di paura dove si viveva liberi da pericoli.

Che ci siano, che coesistano due realtà così differenti, due mondi così diversi significa che sono rimasti lontani, molto lontani, nonostante il tempo trascorso, che il progresso ha interessato soltanto uno di essi, il quale ha proceduto senza tener conto dell’altro né degli abusi perpetrati nei suoi riguardi, significa che non si può prevedere se o quando tanta differenza, tanta distanza potrà essere colmata. A rendere ancor più difficile se non impossibile questa previsione giunge la mancata volontà da parte del mondo rimasto “diverso” a collaborare, a trattare con l’altro, la preferenza da esso accordata allo scontro, anche se mai aperto, e non all’incontro.

È un mondo che non vuole rinunciare a se stesso nonostante stia ancora cercando la sua identità, un mondo che vede ovunque dei nemici, che ovunque vuole combatterli.

Tempi duri si preannunciano per l’umanità dal momento che divisa, diversa è rimasta per secoli e niente sembra possa risolvere il problema, neanche il famoso processo di globalizzazione che da tempo è stato avviato e nel quale tanto si era creduto. Non si era tenuto conto delle distanze, delle differenze che separano le popolazioni del mondo e che di qualunque genere siano, storico, geografico, politico, sociale, economico, culturale, linguistico, religioso, non è facile rimuovere. In un confronto simile non si dovrebbe tendere a stabilire chi è superiore e chi inferiore ma a riconoscere ad ognuno quel che gli appartiene, ad accettare la sua diversità, la sua vita fatta di usi, costumi, persone, cose soltanto sue.

Sono civiltà diverse e uguali non possono diventare solo perché lo si proclama né si può evitare, al loro interno o esterno, la guerra solo perché i tempi sono cambiati.

Antonio Stanca