di Paolo Vincenti –

Da Russoe a Machiavelli.  Ora che tanti si affrettano a salire sul carro grillino del vincitore, dalla Confindustria di Boccia, alla Fiat di Marchionne, da Scalfari alla Cisl della Furlan, a me torna in mente  la famosa fiaba di Andersen “I vestiti nuovi dell’Imperatore” (Il re è nudo).

I Cinque stelle sono del tutto inaffidabili, pronti a dire una cosa e il suo contrario in base alle convenienze. Hanno dato pessima prova nelle amministrazioni comunali in cui stanno governando, emblematici i casi di Roma e Torino. Si sono presentati agli elettori, mostrando un libro dei sogni che loro stessi non sanno leggere.  Hanno puntato tutto sulla pancia della gente, stufa della politica politicante, ma non sul cervello. Con un programma copiato dalla rete, con una squadra sghemba e con due padroni volponi come Grillo e Casaleggio, che intanto fanno soldi a palate, che certezze possono offrire i nuovi caporioni? Non c’è nuovo che tenga. L’impressione, vicina a diventare certezza, è che questo innamoramento della gente per le forze populiste e sovraniste passerà presto. Il Paese purtroppo non ha anticorpi per difendersi dai virus che ciclicamente lo attaccano. Non ha saputo difendersi dall’infezione berlusconiana, non ha sviluppato immunodifese per il renzismo ed ora è facile preda di grillismo e leghismo. I Cinque Stelle hanno già dato ampia dimostrazione di poter cambiare e adattarsi alla bisogna, divenire peggio del peggio che all’inizio denunciavano. Il caso rimborsi poco prima delle elezioni ha fornito qualche avvisaglia. Essi hanno mollato tutta l’artiglieria pesante che avevano messo in campo agli esordi, e ora sembrano vecchi democristiani, camaleontici e ipocriti. E del resto la corruzione è endemica nel nostro Paese, come conferma il bel libro “La corruzione. Una storia culturale”, di Carlo Alberto Brioschi (Guanda 2018), un excursus sulla disonestà dall’Antico Testamento fino ad arrivare ai giorni nostri, ed è sconfortante constatare come i corrotti siano sempre stati presenti nella politica da Tacito e Seneca a Richelieu. I nuovi capiparte, che hanno già dimostrato incompetenza, temo dimostreranno presto corruttela. Il movimento Cinque Stelle è come lo Yomo, al quale faceva pubblicità negli anni Ottanta Beppe Grillo: uno yogurt scaduto.

Eco Ambiente. Donald Trump sarà un tamarro ma proprio per questo spesso dice la verità, perché chi non ha un forte retroterra culturale, una poderosa preparazione, che faccia sviluppare antigeni all’ignoranza e al fanatismo, perciostesso non ha filtri, possiede scarsissima capacità di mediazione e quindi spara delle affermazioni che lasciano esterrefatta la comunità mondiale. Tipo quella sui Paesi cessi. Gli è che pure chi ha più cultura di Trump si rende conto di questo: il Presidente Usa ha detto una cosa che tutti pensano, anche i più raffinati intellettuali, ma non hanno il coraggio di affermare pubblicamente. Per esempio, ho definito Trump un tamarro, come fanno tutti. Un cafone, un incolto, come lui, nel nostro Pese lo bolliamo come uno zulù. E non sono forse gli Zulù una tribù che vive nel SudAfrica? In quel continente cioè che nel comune sentire viene considerato sottosviluppato, arretrato e, fuori dal politicamente corretto, inferiore rispetto alla nostra civiltà occidentale? Ma questo non significa discriminare l’Africa a causa della sua sfortuna e dei suoi endemici e gravissimi problemi. I paesi cessi, a cui si riferiva il miliardario col riporto, sono quelli dove la gente vive male e scappa, a causa della guerra, della denutrizione, della crisi economica, della tirannia. Che cos’è infatti un Paese come la Corea del Nord, se non una cloaca? Una dittatura sanguinaria, dove i cristiani vengono perseguitati e mandati nei campi di concentramento nell’indifferenza della comunità internazionale, che invece alza la voce solo quando il nano feroce Kim Jong spara uno dei suoi missili.  Non sono feroci crimini quelli commessi dal bambolotto assassino che ce l’ha corto e trova nella corsa agli armamenti nucleari sfogo alla propria frustrazione, supplendo con missili sempre più grossi alle proprie deficienze peniene?  E che cos’è la Siria? Chiedetelo alla Croce Rossa che cosa sta succedendo nella provincia del Goutha orientale o sul fronte turco curdo di Afrin. Certo loro, e tutti quelli delle missioni umanitarie, non vi risponderanno mai che si tratta di paesi cessi. Ma anche i bidelli che nelle scuole devono sturare la merda dai bagni si fanno chiamare collaboratori scolastici o personale Ata, come pure quelli dell’autospurgo scrivono sui loro camion “servizi ambientali”. La sostanza del loro lavoro, nobile quanto ingrato, non cambia. Cambia solo l’untuosa sicumera del politicamente corretto.

Donne e belve. Grande risalto è stato dato quest’anno all’anniversario del rapimento di Moro e della strage di Via Fani. Ne hanno parlato tutti i tg, “Unomattina” e “La vita in diretta”, su Rai 1, poi la trasmissione “Il condannato. Cronaca di un sequestro”, di Ezio Mauro, su Rai3, la trasmissione di La7 “Aldo Moro storia di un delitto”, di Andrea Purgatori, divisa i due parti, quella di Francesca Fagnani, “Belve” su Nove,  e diversi spazi di approfondimento nei vari canali all news. Naturalmente è un profluvio di ex brigatisti rossi, tirati fuori dalla naftalina con cadenza annuale  per farli farneticare urbi et orbi. Premetto che a me non importa proprio nulla di ascoltare questi indecenti (e ne ho le tasche piene anche del caso Moro, dopo tanti anni di solfa mediatica e retorica politica) e infatti non ho seguito alcuna trasmissione. Però vuoi o non vuoi, a meno di più piacevoli sollazzi sul famoso atollo tropicale, le notizie qui ti piovono addosso e non puoi evitare di  esserne informato. Dunque, alla trasmissione di La7 sono stati invitati i terroristi Prospero Gallinari, Valerio Morucci, Raffaele Fiore e Mario Moretti. Su Nove, la Fagnani ha intervistato Adriana Faranda, tributandole onori da superstar, e così ha fatto anche Ezio Mauro su Rai3.  Orbene, se doveroso è il ricordo, e comprensibile anche la spettacolarizzazione dell’evento che ne fa la tv, appare francamente inammissibile l’ondata di generale accettazione se non di buonismo che si è riversata su suoi beceri protagonisti, ossia i Brigatisti rossi. Questi dilagano nei salotti televisivi con la loro assurda “versione di Barney”. Inoltre, pontificano dagli schermi senza avere alcun contraddittorio, favoriti dal gioco di luci della sapiente fotografia televisiva che conferisce loro più fascino e sintomatico mistero. Ma se non stupisce più di tanto la glorificazione della Faranda, fatta nella trasmissione “Belve” da Francesca Fagnani (le si riconosce almeno l’onesta del titolo), io rimango disarmato di fronte all’incontro fra la Faranda e Agnese Moro, figlia del leader democristiano ucciso nel 1978, alla chiesa di San Gregorio al Celio a Roma il 15 marzo. L’ex brigatista e la figlia di Moro, faccia a faccia a colloquiare come due vecchie amiche e l’Agnese che addirittura incoraggia l’Adriana, tradita dalla forte emozione, e la accarezza e la abbraccia. Che scene disgustose. Per l’amor di Dio, il perdono ha un valore altissimo e va praticato da un buon cristiano. Ma da perdonare a condonare… Arrivare ad un simile gesto, entrare non dico in empatia ma addirittura in amicizia con uno che ti ha massacrato il padre, non è da cristiane, e nemmeno da belve, è da coglione.