di Antonio Stanca – L’anno scorso, presso la casa editrice Alter Ego di Viterbo, è comparso un breve romanzo, Anche i pesci hanno il mal di mare (pp. 125, €12.00), di Fausto Romano. Un autore molto giovane è Romano, ha ventinove anni, è di origine salentina ma da tempo vive a Roma dove, negli anni scorsi, ha frequentato l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica “Silvio D’Amico” conseguendo il diploma in recitazione. Ha recitato soprattutto in teatro ed è stato autore di un cortometraggio “CRAMA”, più volte premiato. Tra gli altri ha vinto il Premio “Fellini”.

Ma anche nella narrativa si è cimentato il Romano e prima di questo romanzo, nel 2013, ha scritto quello del suo esordio,Grazie per aver viaggiato con noi. Allora aveva detto della strana situazione vissuta dal dottor Giorgio Severini che, di ritorno a Roma da New York, rimane bloccato per una notte all’aeroporto di Parigi a causa di un errore nella valutazione del fuso orario. Ha perso pure i documenti di riconoscimento e quella notte gli servirà per ripercorrere la sua vita, la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua giovinezza, per recuperare quell’identità che ora, a Parigi, gli sembra di aver perduto insieme ai documenti.

Pure nel secondo romanzo Romano presenta una persona che è alla ricerca di se stessa, stavolta nella Roma dei primi anni del Duemila, dove si era trasferita dal suo paese di origine e dove cerca di affermarsi come scrittore. E’ molto giovane, ventisei anni, si chiama Bruno. Ha i suoi amici, le sue amiche, si frequenta, esce con loro ma mentre gli altri hanno già una loro vita, un loro lavoro, una loro compagna o compagno, Bruno è solo poiché è stato lasciato da Gioia, la ragazza con la quale era stato per molto tempo. Lo ha lasciato perché, si dice nel libro, era “troppo” anche se non si saprà mai cosa sia da intendere con questa parola. I due proveranno a tornare insieme ma non ci riusciranno e la narrazione si concluderà lasciandoli separati.

Sul lungo periodo che precede la loro separazione definitiva si sofferma il romanzo,su come è stato vissuto da Bruno, su come Gioia abbia continuato a rappresentare per lui il pensiero dominante e su come neanche alla fine Bruno riesca a liberarsi completamente.

Un problema grave, un dramma sarà per Bruno la fine del rapporto con Gioia, gli sembrerà di non avere più niente nel quale riconoscersi, di aver perso ogni certezza, ogni aspirazione. Si troverà, uscirà con gli altri, prenderà parte alla loro vita, alle loro esperienze ma non si sentirà mai ad agio, mai completo, compiuto, acquietato, sicuro.

Roma intera mostrerà il Romano percorsa da Bruno che, col suo “motorino”, raggiunge gli amici, si reca agli appuntamenti, insieme agli amici partecipa a serate danzanti, a cerimonie importanti, a cene organizzate, ad escursioni, a passeggiate notturne, a giochi di gruppo, a tutto quanto rientra nella vita dei giovani d’oggi, quelli, cioè, che non si concedono eccessivamente, completamente ad un problema poiché intravedono sempre la possibilità di risolverlo se non di evitarlo. Anche Bruno farà così: sarà uno di loro nonostante sia attraversato da pensieri diversi, da incertezze, da dubbi che gli altri non hanno. Qui sta il merito dello scrittore: come con il dottor Severini anche con Bruno il Romano è riuscito a creare un personaggio complesso, carico di molti pensieri, di molti problemi e tuttavia chiamato a vivere la vita di tutti, di quanti non soffrono quei pensieri, quei problemi. Non è facile essere uguali e diversi nello stesso tempo e non è facile scriverne. Se si pensa che il Romano è agli inizi della sua attività di scrittore e che già lascia intravedere un motivo ricorrente non si possono che aspettare sviluppi migliori.

Antonio Stanca