di Gianni Ferraris –

Ci sono momenti in cui la pagina bianca diventa un ostacolo quasi insormontabile. Quelle parole che ti frullano in testa e che non riesci a  scrivere, quegli istanti in cui gli occhi si annebbiano, velati dalle lacrime che spesso gli anziani sentono sgorgare di fronte ad una notizia, ad altre parole ascoltate magari di sfuggita. Eppure ne sono passati di anni, belli e drammatici. Abbiamo vissuto migliaia di episodi, con la segreta certezza che la grande Signora, il mistero più inspiegabile, il salto più difficoltoso da comprendere, era lontana. Anzi, forse proprio non era. E così, vivendo a lungo, ci si accorgeva lentamente che il cerchio della vita si accende, girovaga per strade e sentieri, più o meno a lungo, ed infine trova un suo sbocco. Inizi a perdere persone care, poi amici. I mesi diventano, avanzando l’età, rosari di persone scomparse. Può aiutare la fede per chi ha la fortuna di possederla, per noi atei è tutto più complicato, non abbiamo un al di là. Noi siamo hic et nunc. La fede, in fondo, fa sperare e credere in una vita altra, con lei si guadagna l’immortalità. Anche se questo non è sufficiente per chi rimane, perché quando Lei rapisce si piange la perdita, e si spera, solo si spera, in un oltre dove prima o dopo ci si reincontrerà, ma rimane la ferita dell’assenza. E forse quello che si chiama elaborazione del lutto altro non è che abituarsi a quella mancanza.

E accade che in un giorno con il sole tiepido, mentre stai davanti al mare, mentre ti godi il rumore delle onde in un posto da favola, squilla il telefono, chissà chi è. E arriva la notizia che la Signora ha colpito in modo innaturale, assurdo, inspiegabile. Lui aveva vent’anni. Solo venti accidenti, una vita davanti. L’incidente, la moto che, chissà come e perché, l’ha scaraventato, dicono le cronache, contro gli alberi. La corsa dell’ambulanza, l’arrivo in ospedale. Non ce l’ha fatta. Pierfrancesco ha lasciato qui tutto il suo futuro. Penso non ci sia dramma più innaturale e incomprensibile per i genitori, di quello di perdere un figlio. No, gli anni vissuti, belli o terribili, non sono riusciti ad insegnarci a comprendere la morte, figurarsi una così. Poi ti ritrovi a fare i conti con i misteri più cupi, con il tuo vissuto, con il sorriso di Pierfrancesco che quando lo incontravi sulle scale era aperto, dolce. Ed è così che soffri e che una lacrima scende e scopri di non essere forte, e pensi a cosa dire a sua madre, Rosaria, quando la incontrerai. Lei è una giornalista, di cronache ne ha viste e scritte tante. Di drammi ne ha conosciuti, fare il giornalista ti porta a confrontarti con loro. Ma forse questa cronaca non vorrà leggerla, forse rifiuterà di farlo.

Già, cosa dirò a Rosaria? Non ci sono parole, è come la pagina bianca che ho davanti e che non si vuole comporre perché tutto ciò che puoi dire pare banale, ridetto, stantio. Non conosco la misura di quel dolore.  Posso solo immaginarla, da lontano. Una carezza Rosaria, questo so fare. Senza parlare. E un fiore.

Gianni Ferraris