di Marcello Buttazzo –

MARIA CAMPEGGIO,
“DI PURA LUCE”
2023 – STORIE DI LIBRI

L’uva
virginea e appesa
ascolta
il canto dell’allodola
e muore
nei tini
color di terra madre.

Il vento l’ha segnata,
la grandine prostrata,
ma ora dagli acini risorti
proviene l’evviva
e Dioniso volteggia
fervido, in delirio.

Maria Campeggio è una pianista, appassionata di letteratura e poesia. Ha pubblicato quattro raccolte di versi, ha partecipato a concorsi letterari nazionali e internazionali e ottenuto vari riconoscimenti. Nel luglio 2021, ha vinto il “Premio Poiesis” di Tricase. La sua nuova raccolta (quarta) “Di pura luce”, edita da Storie di libri di Pasquale Cavalera, è appena uscita (aprile 2023). “Di pura luce” è un caleidoscopio di sentimenti umani, di emozioni, di amori vissuti e taciuti, di abbandoni, di riconquiste. La raccolta segue il solco d’una tendenza bipolare: si passa dalla melanconia alla ebbrezza, dalla tristezza alla pienezza di vivere, fino ad una accettazione compiuta della realtà effettuale. Epperò, tutto il libro è pervaso d’una luce radiante, che lumeggia sulle umane miserie. È un canto alla vita, che si dispiega nell’intimo, ma anche nell’ambiente fisico circostante. Antonia Occhilupo scrive nella prefazione: “Nella poetessa la Luce invade e permea anche lo spazio della notte, lo spazio del buio, per diventare spazio stellare di Luce, spazio lunare di luce”. La luce non è solo un corpuscolo fisico, ma è uno stato di grazia, è una materia d’anima, è una folgorazione anche spirituale, che sa far risplendere anche lo scuro più scuro, le tenebre, consentendo all’autrice e agli umani di rinascere e di rifiorire. A mò di distico campeggia un pensiero di Anna Salvaje: “Il mondo lo hanno sempre cambiato/i folli, gli eretici, le streghe e i ridicoli./Non le greggi./ Il mondo dell’esperienza è sempre stato modificato e positivamente perturbato dai non allineati, dai mai domi, dai non succubi. Nella silloge “Di pura luce” ci sono spunti molto interessanti. Innanzitutto, il prevalere d’una concezione panica, che si dispiega come una sorta di realismo un po’ immaginifico e trasognato. Nel maggio magico ritorna il giglio rosso sulla terrazzina. Fili d’erba francescani ai piedi del castagno dove dimorano nidi fertili. E quel vento africo. Campi assorti e muti riempiono onde di ricordi. I ruscelli luminosi affiancano le pietre con colpi d’acqua cristallina e fervono oleandri all’ombra caliginosa dei misteri. Si sussegue, altresì, il binomio amore- Natura. I versi di Maria Campeggio sono florilegi di sentimenti vissuti, praticati, in una cornice sovente bucolica.

Nella notte
che succede chiara
al giorno
le stelle torneranno
a cercarmi
tra gomitoli di agrumi.
Io berrò nel tuo calice
e tu nel mio,
fino alla mezzanotte,
quando scapperò
come cenerentola spaventata
e tu mi inseguirai
con l’occhio del giaguaro.

Predomina nei versi l’onestà spirituale di Maria, che crede nell’avvento d’un cristianesimo puro, illeso. L’autrice è delusa da alcuni comportamenti vestigiali, ornamentali. Può capitare che, in un Natale come tanti, da contraltare alla sovrabbondanza di pandori, di spumanti, di addobbi elefantiaci, spreco di ninne nanne, vi siano l’amarezza e la solitudine e la cattiveria e i soprusi, le vanterie. Talvolta, s’insinua il senso della morte, che è democratica, perché abbassa i sipari, lei come una madonna oltrepassa la siepe e avviene. Alcuni versi sono sul Natale. E viene giustamente enfatizzata la festa dei matti, il Natale dei matti, che sono in grado di coprire le menzogne e ritrovare netta una cupola di cielo. Per Maria i matti sono anime pure, non sono tanto quelli della vulgata psichiatrica, quanto i folli stremati d’amore (cantati da Alda Merini). Belli sono i versi che la poetessa dedica all’adolescenza, ad una bimba ribelle e alle sue risa, ad una ragazza che aspetta con ansia gli esami. Al ricordo della morte della nonna. All’urlo straziato contro le sciagurate guerre, che fanno strame dell’umano sentire. Non disdegna Campeggio passaggi di sensualità, come quando descrive l’amato che la sgualciva e denudava. O come quando scrive: “Tra le cosce/il desiderio sorge/come aurora boreale/”. Si alza, altresì, secca la denuncia contro le false credenze, contro gli epigoni ubriacati dagli altari del potere. La poetessa è felice d’essere adesso apostola di libellule e di lucciole farfalline. L’amore per l’autrice è acquisizione, obiettivo da raggiungere, ma anche perdita. Le poesie seguono il verso libero. Alcune di esse hanno una forma quasi aforistica. Tante poesie brevi sono d’un incisivo significato: “Godimento/al ritmo delle puledre/dal crine lucido/che battono in galoppo sulla strada./”; oppure, “Carezza di mare/io guardo/un vortice lontano/come lupa affamata./”; o ancora, “Tu,/la mia fame./Io,/la voglia d’amarti/in un delirio./”. In una nota in apertura, Campeggio è chiara sull’esegesi del suo scrivere: “Tutto ciò che esprimo con la poesia viene dalla linfa vitale che percorre il mio corpo, da quel cuore che a volte mi sembra che pompi a fatica perché umiliato, maltrattato, deluso. Lo stesso cuore che fuori ha conosciuto la bellezza, la gioia, la gratitudine anche solo per il fatto di esserci”. La poesia ci naviga dentro, scende a fondo negli anfratti più solinghi del nostro essere. Poi a un certo punto, emerge è diventa stupore bambino, sbalordimento per la Natura e per i nostri vissuti interiori. Parimenti, la poesia è anche meraviglia nei confronti dell’ambiente fisico circostante e al cospetto dei pensamenti e dei movimenti interiori degli altri.

Marcello Buttazzo