di Antonio G. Lupo –

Antonio Romano, Vite di C’era, Musicaos editore, 2020

L’autore dei saggi narrativi di questo libro è un infermiere che si lascia andare al  racconto delle sue esperienze professionali, consapevole di quanto influiscano le emozioni e le inter-azioni ambientali  nel rapporto con  il paziente, e di  quanti benefici   possano generarsi  da situazioni empatiche tra il degente e il  personale sanitario. Narrazioni di malattie che mettono perciò al centro l’assistito, con la sua storia e con i suoi bisogni
( fisiologici, psicologici e sociali ).

Il significato del titolo è  spiegato nella premessa: indica con  il tempo al passato l’ istante  vitale in continua evoluzione (“la fiamma riflessa da ognuno di noi” ), mentre la  parola omofona (“cera”) rinvia a “ciò che rimane dopo lo sciogliersi della candela”.

Insieme all’infermiere Nepente, questo il nome che  fa da tramite con il lettore, si entra così nei dettagli di un vissuto legato alla sofferenza di diverse patologie (alzheimer, neoplasia, schizofrenia, fibrosi polmonare, depressione, cardiomiopatia), alle quali si aggiunge anche il diabete tipo1, malattia che porta Nepente  a raccontare inaspettatamente di se stesso e a  riferire delle sue  vicissitudini personali.

Da  regista che dà voce alle   persone incontrate,  sempre ben caratterizzate nella loro psicologia (una nonna, un oncologico, una madre, un paziente psichiatrico, un operaio, un insegnante, un pensionato), diventa attore, infermiere di se stesso, costretto ad affrontare le diverse difficoltà che insorgono con lo scoprire di avere il diabete di tipo 1, e col doverne gestire il decorso in prima persona.

Il libro, nel suo insieme, costituisce perciò un suggestivo viaggio che attraversa  il disagio della malattia nei suoi variegati e problematici  aspetti, mettendo in particolare  luce   quelli emotivo-relazionali e psicologici, oltre a quelli di sofferenza fisica.

Nello scandagliare, con accuratezza espressiva e narrativa, dinamiche di resilienza estrema, di capacità di resistenza oppure di caduta nello sconforto, a volte  al limite delle risorse psico-fisiche, Romano coinvolge emotivamente  il lettore alla  partecipazione  di storie molto intense, alla base delle quali rimane il postulato che non possiamo aspettare  che si inceppi l’ingranaggio imperfetto della vita per capire il valore di ciò che ci circonda.

Pagine di vita quotidiana ritmata  sullo sfondo di corsie d’ospedale e di casi clinici, nell’articolarsi  di conflitti interpersonali e/ o  identitari, si connotano di paesaggi esistenziali diversi, di storie individuali ma anche sociali. Emblematico il racconto dell’operaio, figlio del  contadino salentino, custode di una dimensione  rurale originaria , a contatto con la cruda realtà della civiltà industriale dopo il suo trasferimento al nord.

Un’opportunità per  rivivere la memoria storica di un  passaggio generazionale e di un patrimonio  culturale, proprio di  un mondo passato, ancora vicino ad  un altro, che si prospetta come il  futuro che già si è avverato.

Nel delineare le criticità della casistica clinica trattata,si evidenzia chiaramente una  capacità di introspezione chearriva solo quando hai raggiunto il limite, quando ti metti in discussione .

Una prosa densa, ricca di aggettivazione con lumeggiature di originalità espressiva. Corredati  da numerose  illustrazioni (M.C. Olimpio), i testi hanno inoltre la particolarità  di essere  abbinati al sottofondo  sonoro di link musicali, mentre le  toccanti e sagge  citazioni introduttive che  precedono ogni capitolo,  invitano a riflettere sul senso della vita, come le suggestive storie efficacemente narrate dall’autore tra “l’impercettibile e l’invisibile”.