di Marcello Buttazzo –

Le “Città di guerra” a San Pietro in Lama nel laboratorio di Tonio Bisconti

Tonio Bisconti è un fine artista, uno scultore della terracotta. Lui lavora la materia con mani sapienti, nutrendosi alla fonte d’una ricerca attenta e oculata. La sua “terra” ha una memoria, radici virenti, onde sommesse e impetuose. Tonio con lo strumento pacifico, non violento e creativo della manualità fa vibrare e rammemorare vissuti nella sua “terra” di ancestrali visioni. Le fantasticherie e gli arabeschi immaginifici li trasferisce nelle sue opere d’arte, che sono creature dotate d’una anima, d’un cuore pulsante d’amore, d’una grammatica di sentimenti. Le sue sculture d’argilla, lavorate con perizia, sono spiriti alati, che navigano nel sommerso e nel manifesto. Sono figure inventive, che scavano nelle scaturigini dell’essere e, come fiume carsico ardente di fuoco, scivolano giù nel fondo degli archetipi. Portandoli tutti in luce, al lucore del sole. Le sue opere d’arte sono la risultante d’un percorso pragmatico.

Tonio Bisconti nasce ceramista, il suo sentiero poi si perfeziona. Con gli anni approda ad una indiscussa capacità di modulare la materia, di plasmarla, modulandola con poesia. Lui è un poeta dell’argilla. Nel senso che ha, per l’innanzi, occhi da poeta, ossia quell’incanto, quello stupore fanciullo, quell’iride di bellezza umana, che gli consentono di entrare e penetrare negli eventi, nella realtà effettuale, decodificandola con rigore strutturale. Eppoi, ha la capacità artigianale che, frammista ad un multipolare senso immaginifico, contribuisce a far di lui un delicato artista della vita.

Tonio è un artista della vita, perché è approdato ad una bellezza seconda, epifanica. I suoi lavori sono intimamente connessi alla sua esistenza quotidiana. Bisconti è un ardimentoso spirito francescano, un’anima pura, pulita, intellettualmente onesta. È un uomo semplice, fraterno. Lui cura intimamente i rapporti umani, le vivide dinamiche esistenziali. È un’anima folle, un’anima folle stremata d’amore. Conosce il dolore, la gioia, l’ebbrezza. Conosce le lacrime. E le sa consolare. La sua poetica artistica non può essere separata dalla sua vita di tutti i giorni. Lui conduce un’esistenza frugale, odia i barocchismi superflui, gli inutili e fastidiosi orpelli. Sa andare con pazienza all’essenza delle cose, alla matrice ontologica dei fatti.

Ho visitato il suo laboratorio, la Casa della poesia, insieme ad Alessio, un nostro amico fotografo. A un certo punto, Tonio ha detto mostrandomi un’opera: “Io non ho studiato, sono autodidatta”. Gli ho replicato: “Tu hai studiato. E tantissimo”. In effetti, le sue sculture non nascono dall’improvvisazione o dalla sporadicità: esse sono il frutto fecondo d’una passione, di sudore e di sangue buttato sul campo. Tonio Bisconti, fra le altre cose, è un’artista che conosce a meraviglia l’antica tecnica del colombino. Ogni tanto mi reco nel suo laboratorio di San Pietro in Lama per respirare la sua “terra” di sapore dolceamaro. Conosco Tonio da più di quarant’anni, da quando eravamo fanciulli. Quando ho la necessità di riabbracciare il mio amico, vado nella sua Casa d’arte, che è un rilassante buon ritiro. Negli ultimi anni, Tonio sta lavorando alacremente e intimamente alla sua nuova opera, titolata “Città di guerra”. La guerra è la iattura totale, l’insania del mondo, la devastazione dell’umano sentire. “Città di guerra” sono quelle bruciate e squassate dai conflitti ordinari e convenzionali, quelle stuprate dall’egoismo e dalla ferina barbarie di certuni. “Città di guerra” sono le cattedrali nel deserto portate avanti da chi non sa colpevolmente costruire ponti di conoscenza, di comunanza, di compartecipazione, di condivisione, ma soli fili spinati e muri fisici e ideologici. “Città di guerra” come la prosopopea e l’ignoranza di chi scorge nella fragilità umana solo un “problema” da esorcizzare, invece di vedere una ricchezza assoluta, calie di pietruzze d’oro. “Città di guerra” come la spudoratezza di chi non sa dare la giusta carezza agli ultimi, ai diseredati, ai senza voce, ai senza diritti.

Marcello Buttazzo