di Aldo Quarta –

Quando parliamo di “Letteratura Salentina” dobbiamo necessariamente fare i conti con tutto ciò che è stato scritto a proposito di “Subregione culturale”, “Cultura letteraria salentina”, “Grande Salento” e “Regione Salento”. Al centro, come si vede, c’è sempre una certa “salentinità” che tiene insieme tutta la questione.

Intorno a questi argomenti si sono sviluppate dal secondo dopoguerra ad oggi diverse discussioni, che comunque non hanno scalfito il processo amministrativo che negli anni Settanta ha portato alla nascita della Regione Puglia e al suo consolidamento nei decenni successivi.
Oggi nessuno mette più in discussione lo sviluppo regionalistico, anzi sembra avanzare un processo di maggiore autonomia regionale (con tutti i rischi collegati); eppure, non possiamo affermare che la Puglia abbia una sua specificità culturale e letteraria univoca, perché esistono specificità subregionali (come appunto quella salentina) ma non esiste una coscienza letteraria regionale univoca.

Questo significa che all’unità amministrativa degli anni Settanta non è seguito un senso di comunità culturale dal Gargano a Leuca, mentre la produzione letteraria ha vissuto episodi subregionali strettamente legati ad uno o ad un altro territorio regionale.
Casi di eccellenza letteraria pugliese, dove ci sono stati, sono sorti e sviluppati all’ombra di produzioni editoriali nazionali, ma sempre come fenomeni a se stanti e senza produrre “cultura letteraria” pugliese.
Si tratta di una questione molto seria, che naturalmente il dibattito sul “Grande Salento”, sulla “Regione Salento” e su una certa spiccata “salentinità”, intesa come strisciante autosufficienza di prospettiva, non contribuisce a migliorare.
Volgendo lo sguardo al recente passato, possiamo dire che siamo passati dall’individuazione di una “Cultura letteraria salentina” (Donato Valli, 1971) alla “Subregione culturale” (Ennio Bonea, 1978). Riflessioni importanti e cariche di contenuto, ma entrambe hanno finito con il generare (involontariamente) una certa autosufficienza culturale e territoriale, quasi fosse necessaria una poderosa differenziazione con le altre province pugliesi.

Valli e Bonea parlavano di “provincia culturale”, di “subregione culturale”, tenendo sempre il timone orientato verso prospettive unitarie, sia regionali che nazionali.
Per questo, quando parliamo di cultura salentina, di letteratura salentina, dobbiamo considerarle solo un aspetto della più complessiva cultura pugliese e meridionale, alla luce anche di quel consolidato processo amministrativo che ha visto la Regione Puglia, dopo il 1970, diventare sempre più il fulcro di un processo di crescitaper tutti i territori amministrati.
La “salentinità” trova così un senso ed una giustificazione, ma nell’ambito di una consapevolezza regionale, di una grande famiglia culturale, con un’anima complessa ma unica.
In Puglia convivono specifiche “culture”, non necessariamente lontane e inavvicinabili, ma la cultura pugliese deve rappresentare la sintesi fra queste principali direttrici.

Parafrasando l’idea-cardine di Ennio Bonea, potremmo affermare che ognuna di queste direttrici rappresenti una “subregione culturale”, ma tutte sono parte integrante della cultura regionale complessiva.
D’altronde, Bonea nel 1978 con il libro “Subregione culturale – Il Salento”(editore Milella) suddivideva la cultura umanistica (e artistica) in nazionale e regionale,“secondo la validità del contributo”.
Dunque, spostando ai giorni nostri questa suddivisione, la differenza non riguarda il luogo dove un’opera nasce o viene pubblicata, ma la validità del contributo; che, se vogliamo, è il cuore del problema. Anche perché venature regionali (o subregionali) sono presenti nella letteratura nazionale e internazionale e spesso caratterizzano e danno un senso all’opera prodotta.
Lo stesso Bonea nel suo libro ricorda come Mario Sansone, a Bari nel 1970, in occasione del VII congresso di Letteratura Italiana, disse che “non vi è storia letteraria nazionale che non sia sempre, per grandissima parte del suo corso, storia regionale e all’inverso non vi sia storia regionale che non sia sempre da avvertire come operante e rivolta ad un ambito nazionale”.
Dunque è conseguente che artisti, poeti e scrittori salentini si arricchiscano della cultura natìa, proprio come hanno fatto Montale, Moravia, Cassola, Pasolini, ma anche Manzoni, Verga, Leopardi, Pascoli (solo per citarne alcuni).

Il problema è che per loro non si parla di letteratura napoletana o lombarda o siciliana o ligure; si parla semplicemente di letteratura di valenza nazionale e internazionale. Dunque, per venire a noi, Bodini, Pagano, Comi, Macrì, Suppressa, Verri ed altri rappresentano la letteratura salentina, ma non possono rimanere circoscritti in confini provinciali. La “salentinità”, insomma, non deve essere un limite ma un punto di forza, un aspetto della cultura regionale, nell’ambito di un’idea più complessiva di cultura nazionale e internazionale.
Naturalmente, in tutto questo la Regione Puglia può svolgere un ruolo determinante, perché, se la cultura pugliese deve essere un contenitore-sintesi della produzione artistica e letteraria nata e sviluppatasi in Puglia, la Regione e la sua attività programmatica culturale non può che essere un punto di riferimento e di accompagnamento per scrittori e artisti.
Certo, ci vuole tanta buona volontà e nuove prospettive programmatiche, ma soprattutto occorre fare in modo che importanti risorse finanziarie non si disperdano in mille rivoli e riescano finalmente a stimolare e coordinare l’evoluzione creativa di chi produce cultura e cultura letteraria.

Aldo Quarta