di Antonio Stanca –

Una favola è La casa dei sette ponti di Mauro Corona che, comparsa nel 2012, è stata ora ristampata per conto della casa editrice Feltrinelli di Milano. Di favole, racconti, romanzi e saggi è stato autore Corona ma anche scultore e scalatore è stato. In molti modi ha espresso quel bisogno di libertà, di amore, di scambio, di contatto con gli elementi della natura che è stato suo fin dall’infanzia.

Corona è nato a Baselga di Piné (Trento) nel 1950 ma ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza ad Erto (Pordenone) nella valle del Vajont, dove ancora vive. Lì si era innamorato della montagna, aveva fatto le prime scalate. In seguito i genitori si erano separati e lui col fratello avevano seguito la madre. A scuola avrebbe avuto problemi perché limitato, ridotto dalle regole dall’ambiente scolastico aveva sentito il suo desiderio di essere indipendente, libero. Aveva lasciato la scuola per il lavoro e intanto aveva cominciato a leggere classici quali Dostoevskij, Tolstoj, Cervantes. Erano gli anni Settanta e Corona aveva pure cominciato a scolpire il legno come, da bambino, aveva imparato nella bottega del nonno. La sua prima mostra sarà a Longarone nel 1975. In quel periodo compirà scalate importanti su montagne non solo italiane ma anche straniere. Ancora oggi alcune scalate sono rimaste soltanto sue.

Anche la narrativa alternerà a queste altre attività. Comincerà con racconti e poi verranno romanzi, favole ed altri scritti. Saranno opere nelle quali tornerà quasi sempre il motivo di un passato perduto, di una vita finita perché incalzata dai tempi moderni, dall’economia, dalla tecnologia da essi comportata. Era stato il disastro avvenuto nel 1963 nei paesi della Valle del Vajont a causa del crollo della diga ad essere dal Corona interpretato come la fine di un’epoca, a muoverlo a fare della sua scrittura la testimonianza di una vita impostata ai valori dello spirito, dell’anima, di quella vita nella quale era rientrata anche la sua da bambino e che ora era passata. Altri tempi, altri modi di fare, di pensare erano venuti. In essi Corona non si riconosceva più. Grave era stata la perdita subita e al recupero, alla rivalutazione di quanto era scomparso si era mosso lo scrittore.

Molte volte sarà premiato per le sue narrazioni ma sempre sospeso gli sembrerà di rimanere tra prima e dopo, sempre poco crederà di fare rispetto a quanto avrebbe voluto.

Così anche ne La casa dei sette ponti, dove in un ambiente diviso tra realtà e fantasia, Corona mostra come un ricco industriale di Prato venga a conoscenza dello stato di miseria nel quale hanno accettato di stare i suoi genitori adottivi pur di non venire a compromessi, di non rinunciare a principi, valori che erano stati della loro vita e che consideravano fondamentali. Si erano persi di vista col figlio, lui si era arricchito, aveva imparato a muoversi bene nel campo dell’economia, a superare i rivali. Il denaro era diventato il suo unico interesse. Non pensava più a come, dove potessero trovarsi quelli che lo avevano adottato dopo che la vera madre lo aveva abbandonato. Ritrovarli sarà un caso, un caso sarà pure vederli vivere di stenti in una casa vecchia, isolata, sapere che lo hanno atteso nonostante fosse passato tanto tempo, che non hanno mai smesso di sperare.

Non potrà che ammirare tanto amore, tanto coraggio l’industriale, non potrà che pensare di rimanere per sempre con loro dopo aver provveduto a sistemare la casa, non potrà che rinunciare a tutto quanto ha accumulato in quegli anni, alla vita che fino allora ha condotto.

Ancora una volta Corona ha portato il presente a confrontarsi col passato ed ha fatto di questo il vincitore, ancora una volta ha mostrato quanto siano stati importanti i principi ai quali si è formato, i valori che ha perseguito e come sappia renderli tramite un’esposizione tanto semplice e chiara da sembrare necessaria, inevitabile.

Antonio Stanca