di Abtonio Stanca –

Nato a Kitakyūshū nel 1909 era morto a Tokyo nel 1992. Si chiamava Matsumoto Seichō, aveva ottantatré anni ed era stato un giornalista ed uno scrittore giapponese. Aveva smesso di studiare quando era ancora molto giovane, da un lavoro in tipografia era passato a quello presso una rivista dove erano comparsi i suoi primi racconti di genere storico. Si era poi dedicato quasi completamente alla narrativa. Nel 1955 comincia a pubblicare racconti gialli mostrandosi incline ad usare una scrittura quanto mai realistica, a perseguire una rappresentazione che non trascura i particolari  ma li coglie tutti quasi li fotografasse. Famoso diventerà nel 1957, a quarantotto anni, col romanzo La morte è in orario che verrà tradotto in molte lingue. Molti altri ne scriverà, circa trecento, oltre a racconti e molti riconoscimenti gli verranno attribuiti, il Simenon giapponese sarà chiamato. Numerose saranno pure le riduzioni cinematografiche e televisive di suoi romanzi e racconti.

Un racconto del 1958, Il passo di Amagi, è stato riedito di recente da Adelphi nella serie “Microgrammi”. La traduzione è di Gala Maria Follaco. Rientra nel genere giallo tanto perseguito dal Seichō e, pur in uno spazio piuttosto ridotto, contiene una vicenda quanto mai insolita e degna di nota. Come dice all’inizio lo scrittore si è rifatto al famosissimo racconto La danzatrice di Izu scritto da Kawabata Yasunari e tanto letto, tanto conosciuto da essere attribuito alla fantasia popolare. Risale al 1926 ed è una delle grandi opere della letteratura giapponese. Seichō ha voluto rendere omaggio al suo autore riprendendo il motivo e, naturalmente, variandolo. Sono tante le cose che tra i due racconti cambiano ma sono tante anche quelle che rimangono uguali. In entrambi c’è un adolescente che fugge da casa per cercare la soluzione a  problemi di incomprensione, di incompatibilità; quella verso il monte Amagi, nella penisola di Izu dove abitano, è la direzione che prendono nella loro fuga; pensano di superarlo, di varcare il “passo” che permetterà loro di accedere al mondo, alla vita che cercano. Il ragazzo del Seichō non ce la farà e tornerà indietro. Sulla via del ritorno incontrerà una donna bellissima che lo farà innamorare all’istante. E’ una prostituta che si cura nel volto e nel corpo. Per il ragazzo dello Yasunari l’incontro fatale avverrà mentre sta andando e sarà con una giovane danzatrice girovaga, anche lei molto bella. Nei due casi la bellezza delle donne sarà tale da diventare un’apparizione, un miracolo, un abbaglio, un incanto, un fenomeno unico, irripetibile, indefinibile. Rimarrà, tuttavia, un fenomeno naturale che può verificarsi per puro caso, che può succedere nella vita quotidiana e che procura quella salvezza che si crede impossibile. La visione delle donne, la loro compagnia, la loro semplicità, l’ammirazione che suscitano, libereranno i ragazzi dai problemi dell’anima, dai tormenti dello spirito e da quel momento cercare la bellezza, amare la bellezza, stare con la bellezza, sarebbe diventato lo scopo della loro vita. Lo avrebbero sempre perseguito ché scrittori sarebbero diventati entrambi e di quella scoperta avrebbero scritto. Alla letteratura, all’arte avrebbero affidato il compito di sottrarre alla bellezza  ogni aspetto contingente, di non farla mai finire, di renderla eterna insieme ai suoi  benefici.

E’ il motivo principale che unisce i due autori, le loro opere. Non sono due storie d’amore ma il riporto di quanto di eccezionale può succedere improvvisamente nella vita, del suo effetto magico, immediato, della sua capacità di modificarla. E’ la prova che i miracoli avvengono ancora e che quello della bellezza e del bene che diffonde è uno dei più importanti. Era appartenuto anche al passato, alla sua cultura, alla sua letteratura e che lo si sia riscoperto e condiviso ancora conferma in maniera inequivocabile il suo valore, la sua funzione: bene fa la bellezza, le tenebre vince la sua luce, il male cancella. Sembrano pensieri, parole proprie di una favola e tali, due favole, vogliono essere i racconti dei due scrittori giapponesi. E come nelle favole hanno detto di una verità sempre valida, ne hanno fatto una regola universale, hanno invitato a praticarla perché una via per la salvezza rappresenta.

Antonio Stanca