La semiotica della città sommersa
di Stefano Minisgallo –
Marta Barone, Città sommersa, Bompiani (2020)
Ricostruire il passato del padre, scontrarsi dopo la sua morte con la sua biografia e trovarsi così a dover reinventare anche il proprio rapporto con i posti vissuti ogni giorno. In Città sommersa Marta Barone si trova con sua grande sorpresa a ricostruire gli anni di gioventù del padre Leonardo, un passato fatto di militanza nella galassia della sinistra extraparlamentare, Prima Linea e i suoi interpreti, ma anche di una città, Torino, che alla luce di queste scoperte assume una dimensione nuova.
Barone si scontra quasi fortuitamente col passato di Leonardo, attraverso degli atti giudiziari, ma da quel momento inizierà un percorso incessante di ricostruzione di quella vicenda biografica, che si rende conto essere pressoché impossibile da ricostruire totalmente. Si affida allora alle testimonianze di chi ha frequentato il padre in quel periodo, uno scontro con una realtà completamente differente da ciò che si era immaginata o che non si era mai immaginata, come se il passato dei genitori appartenesse ad un’altra sfera che nulla ha a che fare con il nostro presente. È per l’appunto in questo senso che si motiva la scelta di parlare di una ri-costruzione della vicenda biografica: affrontare o per meglio dire scontrarsi con una storia cortocircuitata dall’universo ideologico, da un linguaggio che rimanda – ed è rimandato – a categorie interpretative della realtà differenti, ma anche e forse soprattutto dalla violenza di quegli anni. Perché nella storia di Leonardo, di quello che l’autrice identifica con LB, proprio a rimarcare ulteriormente la divergenza tra ciò che lei pensava fosse e ciò che realmente era il padre, gli avvenimenti violenti hanno inevitabilmente un peso tale da condizionarne le scelte.
Esplorando il discorso di Greimas riguardo la possibilità di una semiotica delle passioni dei tesi emerge il rapporto di contrarietà tra l’iniziale distacco, quasi disforico, di Barone non solo riguardo le vicende del padre, ma anche in relazione alla sua morte, come se quel lutto appartenesse maggiormente ad altre persone e non a lei, il susseguirsi delle vicende costituiscono quindi anche in questo aspetto un punto di svolta riguardante il coinvolgimento emotivo per la morte di Leonardo. Riprendendo e sviluppando il modello sulla semiotica delle passioni Fabbri proponeva di individuare il momento dello “scoppio” del discorso passionale, nel libro di Barone si può individuare questo scoppio in almeno due diverse oggettivazioni: una costituita – come già detto – dall’evoluzione del rapporto con il padre anche successivamente alla sua morte e una costituita dal rapporto con Torino, anche se forse sarebbe meglio dire con tutti quei luoghi che hanno giocato un ruolo nella vita di Leonardo, se infatti Torino emerge come la principale delle “città sommerse”, il cui significato è splendidamente reso con la leggenda della città di Kitez, quella che maggiormente si modifica nella percezione di Barone, anche perché è la sua, di città, cionondimeno l’autrice conduce una ricerca parallela sugli altri luoghi in cui Leonardo ha trascorso il suo tempo, sia Roma che la Puglia natìa, tutti luoghi in un certo senso per l’appunto sommersi nella memoria del padre.
C’è un evento che sicuramente segna una forte scissione nella vita di Leonardo rispetto alla dimensione politica e che probabilmente segna l’inizio della fine per lui di quella stagione legato ad un fatto violento, il modo in cui Barone approccia questo fatto così significante, con la scelta di anticipare quasi subito la reazione immediata di Leonardo accresce la soglia della tensione, perché è intorno a quel fatto che tutta la vicenda raccontata assume contorni nuovi, un fatto di sangue che irrimediabilmente segna i suoi protagonisti, dal quale non è possibile tornare indietro, un fatto dal significato ancora più denso inserito in una storia nella quale comunque la violenza, anche circostante esiste, eppure quella dimensione così personale di quel fatto lo rende decisivo, gli altri accadimenti violenti erano sempre nella sfera dell’agire politico e seppure segnavano i suoi protagonisti erano comunque legati a quella dimensione, al contrario quello che ci viene presentato come “i fatti di Via Artisti” vive di una dimMnsione assolutamente personale e in grado di modificare i rapporti in essere tra i coinvolti.
Ma Città Sommersa è anche la storia di una vita collettiva e l’incontro con chi visse quegli anni con Leonardo è anche un modo di scoprire la vita di questi personaggi, una trama intricata e lacunosa, ricca di aporie dalle quali è difficile trarre un quadro comune chiaro e pacificato, ma intricato e difficile da rendere in modo semplice è stato fondamentalmente quel periodo. Va quindi tanto più apprezzato lo sforzo dell’autrice di rendere giustizia anche a questa difficoltà, al riparo da ogni semplificazione e da ogni riduzionismo, ma anche della forte consapevolezza che l’intricarsi di vicende collettive e personali era divenuto inestricabile e che avrebbe modificato – come successo d’altronde a Leonardo – la vita di quasi tutti i suoi protagonisti, ma forse sarebbe più corretto (sempre in virtù di una semiotica dell’opera) parlare di attanti che, per l’appunto agiscono rispetto al tempo, che a differenza dei protagonisti però si muovono spesso come soggetto collettivo e non individualizzato.
Stefano Minisgallo
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