di Antonio Stanca

«Sono stata catechista nella Chiesa di Ruffano
e si andava a Ugento per ascoltare i suoi insegnamenti…
familiare, vicino si mostrava… di molte cose diceva
e tutte buone… mi sono valse»
Luigina Trane

Lo scorso 27 Gennaio, edito da GEDI e allegato a “la Repubblica”, è uscito Don Tonino Bello (il santo col grembiule). L’opera è curata da Domenico Castellaneta, caporedattore de “la Repubblica”, Bari, e contiene gli interventi di intellettuali, studiosi, religiosi, scrittori, poeti, giornalisti, circa la vita e la figura di Don Tonino Bello.

Nato ad Alessano, in provincia di Lecce, nel 1935, dopo anni di studio e di attività religiosa era stato ordinato presbitero nel 1957 e incardinato nella diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. Qui era rimasto per ventidue anni con la funzione di vicerettore del Seminario diocesano e di vicario episcopale. Nel 1979 era stato nominato parroco di Tricase, nel 1982 era venuta la nomina a vescovo di Molfetta, dal 1985 era stato alla guida del movimento cattolico internazionale “Pax Christi”.

Nel 2007, dopo la morte, sarà avviato il processo per la sua beatificazione, nel 2021 sarà nominato venerabile. Era morto a Molfetta nel 1993. Era gravemente malato, aveva solo cinquantotto anni ma tanto aveva fatto. Oltre la sua provincia, la sua Puglia, era andato, obiettivi nuovi, diversi da quelli di tanti altri religiosi si era proposto, a contatto era venuto con eminenti personalità del mondo della cultura, dello spettacolo, dell’arte, dello sport, della politica in quella seconda metà del secolo scorso che tanto movimentata era stata in ambito nazionale e straniero. La sua voce si era fatta sentire ogni volta che si stava preparando o attuando una situazione di grave pericolo, di urgente necessità.

Aveva molto studiato, vasta, varia era la sua cultura, comprendeva molte più conoscenze di quelle generalmente attribuite ad un prete. Molto aveva pure scritto e la maggior parte delle sue opere è conservata negli archivi del vescovato di Molfetta. Aveva collaborato alla creazione di giornali, riviste, di luoghi d’incontro, collaborazione, studio a favore soprattutto dei giovani che riteneva bisognosi di guide, consigli, aiuti. Non si era mai fermato, era sempre stato gravido di iniziative. Il suo era un movimento, un dinamismo, uno spirito che gli proveniva dall’idea che aveva della religione. Non la riteneva un’istituzione che una volta formatasi poteva stare come le altre con un ruolo, una funzione fissata da regole inalterabili, inequivocabili. La religione di don Tonino non era una posizione assunta e conclusa, una convinzione stabilita, finita, ma un processo in continua evoluzione, un ideale da perseguire, da realizzare senza distinguere dove, come lo si facesse, era una missione da svolgere senza soste. Ovunque, comunque il religioso doveva far giungere la sua parola di amore, di bene, di pace, il suo aiuto. Niente doveva rimanergli escluso, ogni bisogno doveva rientrare tra i suoi compiti. Nuova, diversa da quella comunemente acquisita e praticata era questa religione, più vicina, più consona agli insegnamenti che da Cristo erano venuti ai discepoli, quelli che li volevano portatori, diffusori della buona novella in un mondo percorso dal male. Come quello anche il mondo moderno era percorso dal male e anch’esso aveva bisogno della buona parola.

Una religione itinerante serviva, quindi, secondo don Tonino per un mondo simile, una rivoluzione come la prima volta doveva rappresentare, un ripensamento, un rinsavimento doveva comportare poiché di essi aveva bisogno un tempo dove diffusi erano i pericoli del malcostume, della corruzione, del terrorismo, del sovranismo, della violenza, della guerra, della distruzione, dell’immigrazione, della malattia, della povertà, della morte.

Ampio, immenso era il progetto di Don Tonino, al mondo intero voleva che la religione si rivolgesse, che i suoi interpreti parlassero, che aiuto portassero. Un “salentino planetario” sarà definito, la strada per Papa Francesco sembra abbia tracciato. Degli umili, dei poveri, dei disadattati, degli ultimi diranno sempre entrambi, da essi muoveranno nei loro discorsi convinti che quella delle periferie, degli esclusi, è una presenza da considerare, valutare, aiutare se si vuole migliorare il mondo, che non bisogna rimanere assenti di fronte a chi ha bisogno ma partecipare, che  alla religione spetta la maggior parte di questi compiti, che il “grembiule” devono indossare i suoi ministri perché serve lavorare, rimediare, recuperare, comporre, costruire.

Nel 1992 parteciperà con altre cinquecento persone alla marcia di pace su Sarajevo per interporsi tra le forze che in quella città erano giunte a conflitto. Non ci sarà posto dove non crederà necessaria, utile la parola di Dio. Un’evangelizzazione senza confini come quella degli Apostoli voleva essere la sua. Ammirato sarà da Giovanni Paolo II, sulla sua tomba ad Alessano pregherà Papa Francesco. Di tutti diventerà il suo ricordo, la sua parola. Un altro segno aggiungerà la sua figura a quelli che già c’erano nella storia non solo del Salento.

Antonio Stanca