Di Umberto Eco e dell’umanesimo
di Antonio Stanca –
Giorni fa allegato a “la Repubblica” e “L’Espresso” è comparso il breve volume di Umberto Eco L’era della comunicazione. Lo ha riproposto il Gruppo Editoriale GEDI dopo che era stato pubblicato da La nave di Teseo. E’ il primo di una serie che sarà dedicata ad Eco nelle prossime settimane.
L’opera contiene riflessioni, articoli del famoso giornalista, saggista e scrittore già comparsi in altri posti, giornali, riviste, o in altre circostanze, convegni, conferenze, e rivolti a mettere in evidenza lo sviluppo, l’evoluzione che ha riguardato nei tempi moderni i mezzi di comunicazione di massa, stampa, televisione, Internet, la loro funzione, la loro utilità, i sopraggiunti pericoli, tutto quanto è loro collegato.
Eco è nato ad Alessandria nel 1932 ed è morto a Milano nel 2016. Aveva ottantaquattro anni, la sua fama era diventata mondiale come studioso e come scrittore. Si era laureato in Filosofia a Torino nel 1954 e da quegli anni aveva cominciato ad interessarsi di mezzi di comunicazione e di cultura di massa. Aveva fatto parte del Gruppo ’63, si era impegnato per lo svecchiamento della nostra letteratura, dalla fine degli anni ’60 gli interessi per la filosofia, la cultura medioevale, la linguistica, la semiologia, la cultura popolare diventeranno predominanti. Nel 1975 inizierà a Bologna la sua carriera accademica quale professore di Semiotica. Avrebbe pure insegnato in Università straniere, soprattutto americane. Nel 2007 si sarebbe ritirato dall’attività di docente ma ormai era un personaggio molto noto. Numerose erano le opere di saggistica, accademica e non, che aveva scritto, molte quelle di narrativa a cominciare dal romanzo Il nome della rosa del 1980, che era stato un caso letterario con milioni di lettori in tutto il mondo.
Ampi, estesi gli interessi, profondo il sentire. Con facilità, con naturalezza Eco si muove tra il passato più remoto e il presente più prossimo, tra mito e religione, leggende e favole, storia e vita, cultura ed arte. Le pratica, le vive, le interpreta, ne coglie i segni, ne trae i significati. Uno spirito illuminato, una visione, una capacità senza limiti. Tra i grandi di un’epoca va considerato.
Non è conosciuto, però, soltanto per le sue opere maggiori, per la sua dimensione alta, ma anche per altre opere, quelle dette d’occasione che, come L’era della comunicazione, esprimono una dimensione più modesta, più vicina a chi legge perché fatta appunto di osservazioni, riflessioni sull’attualità, sul costume, sulla quotidianità. In esse tutti possono riconoscersi perché di tutti sono i problemi che l’autore discute anche se lo fa con l’acume dell’uomo di genio, con le qualità dello studioso. In queste operazioni, che sono tante, Eco è convinto di assolvere ad una funzione necessaria, ad un dovere sociale, quello dell’intellettuale, del pensatore che, secondo lui, deve mettersi al servizio degli altri, della “gente”, deve chiarire, spiegare quanto avviene in quella vita che è di tutti.
Ne L’era della comunicazione, s’è detto, motivo delle riflessioni di Eco sono i mezzi di comunicazione di massa. Dettagliata, chiara è l’indagine che l’autore compie, non trascura alcun particolare, tutto coglie di quel passaggio avvenuto col tempo da una loro funzione altamente positiva ad una negativa, di quelli che chiama i “vizi informativi” di tali mezzi, i modi, cioè, dei quali sono giunti a servirsi per evitare, alterare l’obiettività, la verità. Osserva come ormai la stampa dipenda dalla televisione, la televisione da Internet, come i giornali siano andati in crisi, i quotidiani tendano a trasformarsi in settimanali, i settimanali in mensili se non a scomparire. C’è poi da dire come vengono trasmesse le notizie in televisione, perché quelle di lieti eventi sono riferite accanto ad altre di eventi gravissimi, perché l’intervista ha quasi completamente sostituito ogni altro impegno per i giornalisti, perché il macabro cattura tanta attenzione da venire preferito a conoscenze ben più utili, perché il telegiornale si è trasformato in una bolgia infernale, perché intorno a notizie di poco conto viene creato un “rumore” tale da farle diventare centrali. E di molti altri guasti sopravvenuti nella comunicazione dice Eco in questi interventi. Invita, quindi, ad assumere una posizione critica di fronte ai moderni mass-media, a non fermarsi all’apparenza, ad imparare a discuterli. Naturalmente non è facile, dice, giungere a tanto, diffondere tra la gente lo spirito critico necessario ma, secondo lui, l’importante è cominciare, non sentirsi posseduti, non dipendere da essi, non ripeterli. E’ importante sapere che seguono regole, leggi che vanno oltre la verità e che mirano ad assoggettare l’opinione pubblica.
È l’umanesimo di Eco, è l’Eco eterno umanista che emerge ancora una volta, che esorta a recuperare, tramite la ragione, quella dimensione umana che oggi sembra essere stata smarrita, quell’autonomia, quell’indipendenza, quella libertà di giudizio che negli anni passati l’umanità aveva raggiunto, che a tante conquiste l’aveva portata, che tanto sviluppo le aveva procurato.
Basterebbe guardare indietro e ci si sentirebbe più capaci!
Antonio Stanca
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