di Antonio Stanca – Nasce a Casablanca nel 1944 in una famiglia di origine corsa e provenzale, è l’ultimo di quattro fratelli, trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra l’Africa, l’Asia e l’Europa seguendo gli spostamenti del padre militare, si laurea in Lingue Straniere a Nizza nel 1968 dopo aver avuto molti problemi a procedere nello studio della scuola elementare, media e superiore.
Era stato un “somaro”, come tante volte dice in tanti suoi scritti, e soltanto grazie agli interventi particolari di tre insegnanti delle superiori era riuscito a superare le enormi difficoltà che ormai si erano accumulate, ad acquistare fiducia in se stesso ed a migliorare. Dopo la laurea si era stabilito definitivamente a Parigi e intorno agli anni ’70 aveva cominciato ad insegnare Francese nelle scuole medie della periferia parigina, in quelle, cioè, frequentate da ragazzi provenienti da famiglie povere, disagiate, spesso immigrate, e generalmente più difficili da riportare all’ordine, all’impegno richiesti dalla scuola.
Aveva pure cominciato a scrivere e sue prime opere sarebbero state di polemica nei riguardi delle istituzioni militari. Perché non si notasse il suo legame con il padre a causa del cognome Pennacchioni aveva cominciato allora ad usare lo pseudonimo Pennac: Daniel Pennac si sarebbe chiamato questo scrittore francese che ora ha settantatré anni e del quale la casa editrice Feltrinelli di Milano, a Febbraio di
quest’anno, ha pubblicato la decima edizione di Diario di scuola, un romanzo che risale al 2007. La traduzione è di Yasmina Melaouah. È un’opera nella quale il Pennac ripercorre i suoi tanti anni, ventotto, di carriera scolastica.Durante questo periodo egli aveva continuato a dedicarsi alla scrittura: quelle
prime opere polemiche erano state seguite da altre di fantascienza e da libri per ragazzi finché nel 1985, quando aveva quarantuno anni, aveva iniziato a scrivere i romanzi della serie di Belleville, tutti incentrati intorno alla figura di Benjamin Malaussène, alla sua condizione di capro espiatorio e alle tante vicende attraversate dalla sua vasta e varia famiglia. Sarebbe stata l’opera del successo di Pennac anche in ambito internazionale, avrebbe avuto molte traduzioni, il regista Giorgio Gallone ne avrebbe tratto una riduzione teatrale, la rivista americana di critica letteraria “Watch and Listen”, che esce ogni dieci anni, nell’elenco dei cinquanta migliori libri di tutti i tempi avrebbe fatto figurare al primo posto, nel 2013, i romanzi della serie di Belleville.
Altri riconoscimenti aveva ottenuto Pennac, nel 2002 aveva vinto il Premio Internazionale Grinzane Cavour, nel 2005 era stato insignito della Legion d’onore per le arti e la letteratura, altri ne avrebbe ottenuto. Un autore noto in Francia e all’estero sarebbe diventato, molte sarebbero state le sue opere, di tanti generi, dai romanzi ai racconti, ai saggi, dal teatro ai fumetti, ai libri illustrati, agli album per bambini. In tanti modi si sarebbe impegnato ché ovunque avrebbe voluto scoprire cosa succedeva, come si viveva e farne motivo di opera, a tutti avrebbe voluto dare una voce, della vita avrebbe voluto essere l’interprete, specie di quella che si svolgeva ai margini, a fatica, che presentava problemi. Era stata la sua condizione d’insegnante a metterlo a contatto con la vita, a fargliela conoscere, tramite gli alunni, le loro famiglie, le loro case, in tutti i suoi aspetti e soprattutto in quelli più bisognosi ché nelle scuole dei poveri aveva soprattutto insegnato. Figli di poveri, “deboli” moralmente, culturalmente, spesso vittime del vizio, erano stati i ragazzi che aveva avuto per tanti anni, scuole di periferia erano state le sue e quello era stato il motivo che aveva mosso Pennac a scrivere. Voleva dire di chi viveva nel disagio, di chi era esposto alle intemperie della vita, di chi non era sicuro del giorno dopo. L’esperienza, il pensiero, l’azione dell’insegnante saranno sempre rinvenibili nelle sue opere giacché sempre sarà possibile vederlo impegnato a cercare in una situazione difficile una maniera, una regola, una verità che la possa risolvere, sempre lo si scoprirà capace di superare il problema immediato in nome di un principio più valido, più esteso.
Un’umanità in difficoltà è quella rappresentata, indagata da Pennac e sollevata alla misura, alla dimensione che le spettano, alle qualità che possono essere sue. Una vasta, immensa operazione di carattere umanitario, sociale, civile, morale compie lo scrittore e come altrove anche in Diario di scuola questo avviene. Più che di un romanzo si dovrebbe parlare di una lunga, interminabile opera di
recupero, di ricostruzione compiuta dall’autore circa il suo passato d’insegnante, circa i metodi da lui pensati, cercati, provati, usati per risolvere casi difficili di studenti o di intere classi.

Una lingua molto ricca, continuamente animata è quella del Pennac di quest’opera, sembra una rappresentazione teatrale dove a volte non si distingue tra la sua e le voci dei giovani interlocutori, degli alunni. Di un’opera autobiografica si tratta ma finisce essa col perdere ogni aspetto limitato ad un tempo, ad un luogo ben determinati per assumere altri più estesi. I sistemi che Pennac sperimenta con gli alunni peggiori, con quei “somari” ai quali tanto si sente vicino per il suo passato scolastico, i traguardi che raggiunge finiscono di essere suoi o loro e diventano di tutti. Le sue indicazioni didattiche acquistano un valore superiore alle circostanze, le sue diventano lezioni di vita. Pennac finisce di essere l’insegnante per diventare lo scrittore che come per gli altri “deboli” delle altre sue opere neanche per questi intende fare degli esclusi ma vuole impegnarsi a scoprire in essi, a ricavare da essi quanto può servire alla loro riabilitazione, all’acquisizione di una loro dignità, di un loro decoro. Non ha mai pensato Pennac che in una persona, bambino, giovane, adulto, vada tutto perduto, non ha mai dubitato che rimanga quanto può salvarla. Non ha mai creduto che quella persona possa rimanere fuori dalla vita, dalla storia, in questo caso dalla scuola, e per evitarlo ha compiuto le sue azioni di salvataggio muovendo da quel poco che in quella persona era rimasto.

Un significato altamente umano, morale ha acquistato così la scrittura di Pennac, uno scrittore seriamente impegnato è lui diventato, valori molto profondi ha perseguito e con totale partecipazione. Una missione, un compito coraggioso si è assunto l’uomo ed ha svolto lo scrittore senza pensare ai tanti, infiniti ostacoli che avrebbe incontrato poiché sempre più ridotto sarebbe diventato lo spazio per i “deboli” in una società, in un mondo di “forti” quale quello moderno.

Antonio Stanca – 28 agosto 2017