Da Castro, un labirintico percorso tra naturale e soprannaturale
di Cesare Minutello –
Su “Ultime voci dai fondali profondi LA MALEDIZIONE DEL TRAVANCORE”
romanzo di Pier Francesco Liguori e Francesco Bucci
Tempo fa ho pensato, proprio perché non sono un lettore seriale (fa più figo, si sa, scrivere avid reader, ma un minimo di buona creanza nei confronti di Dante non guasta) «la prossima volta che mi capiterà di leggere un romanzo, farò uso del “metodo Trumbo”, e magari provo a tratteggiare alcune impressioni». Per verificare, di nascosto o no, l’effetto che fa. Parlo di Dalton Trumbo, sceneggiatore della grande Hollywood, e di sua moglie Cleo. Esplicitare per intero qui il metodo sarebbe troppo lungo e toglierebbe parte dello spazio già risicato che ho intenzione di dedicare al romanzo in questione. Per le vie brevi dico questo: si tratta di un insieme di tre passaggi critici, di assoluta cattiveria, da mettere in pratica.
Primo: scoprire con perversa passione il peggior difetto dell’opera (del resto è raro non ce ne sia almeno uno, in un romanzo).
Secondo: concentrarsi sul più evidente difetto di ogni personaggio, di ogni episodio e/o situazione narrati.
Terzo: passare al setaccio lo scrittore e la sua personalità (quest’ultimo metodo ha successo solo se si conosce almeno in parte l’autore o se in qualche modo si ha l’opportunità di riscontrare qualche aspetto saliente della citata personalità) per scoprirne i punti deboli ed in qualche modo esecrabili.
Insomma approcciare il testo forti di spietata acribia e affilate armi da taglio.
Eccomi pronto alla pugna, ferrigno al punto giusto, in versione accigliato lettore della domenica. Però, però. Leggo il titolo che Liguori e Bucci hanno inteso dare al libro a quattro mani che mi trovo tra le mani (due, le mie, beninteso): Ultime voci dai fondali profondi LA MALEDIZIONE DEL TRAVANCORE, edito, non a pagamento, da Les Flâneurs Edizioni . E già gran parte della programmata cattiveria si addolcisce, con il richiamo suggestivo ai versi della poesia “Alla deriva” di Salvatore Toma, “a Great Poet”, poeta prematuramente scomparso e balzato agli onori della cronaca letteraria italiana e non solo, post mortem, soprattutto a partire dal 1999, grazie alla silloge “Canzoniere della morte”, edita nella collana bianca dell’Einaudi. Mi disarmo quasi del tutto leggendo poi il primo dei due esergo, preso in prestito dall’Odissea (e come non ricordare l’accurata trattazione della questione omerica da parte del geniale prof. Andrea Rotella, mitico maestro di cultura e di vita nelle aule del Ginnasio Liceo Francesca Capece in Maglie?). Passando al secondo esergo sotterro l’ascia di guerra: è fintamente nazional-popolare nel riportare la prima parte del ritornello di una canzone di successo dei Camaleonti del 1970, un tuffo quindi nell’Italietta sorridente alle prese con gli ultimi scampoli a saldo del boom economico. Fintamente nazional- popolare perché cita non a caso l’Eternità, con cui difatti si avrà a che fare tra i vari e dotti temi trattati nel volume. Arreso del tutto, passo dall’approccio armato ad una suggestiva sensazione di empatia.
Il lavoro consta di quattro parti, contenenti al loro interno, complessivamente, ventidue capitoli, e di un epilogo. Tutto ha inizio a Castro, cittadina sul mare nel Salento, domenica 7 marzo 1880, col naufragio del Travancore e le urla incomprensibili di Miss Palmermoore, e ivi si conclude, con balzi temporali per nulla artificiosi, nel maggio del 2014, dopo un labirintico percorso tra naturale e soprannaturale, di cui gli autori riescono a non far perdere mai il filo. Risalta da subito la precisione svizzera con cui date, luoghi, situazioni, citazioni storiche, geografiche, filosofiche, astronomiche, religiose , esoteriche etc. etc. fanno e faranno via via capolino tra le pagine. La dovizia di particolari non inficia affatto la lettura, che resta scorrevole e godibilmente ricca di intriganti capovolgimenti di fronti e temi e che dona, ad ogni rigo, la voglia di conoscere al più presto il dipanarsi degli avvenimenti, così ricchi di fascinosi personaggi e vicende (ricchi nella loro psicologia i personaggi, dai De Vitis alla Susy, da Michele Sciacca a Eduardo, e ricche nella loro documentata e mai aleatoria o sciatta descrizione le vicende, anche quelle permeate, e giustamente, aggiungo, visto lo spirito del romanzo, nel limen del noir, dell’immaginazione, della fantasia e del mistero, colori di cui la narrazione non pecca affatto, riuscendo peraltro a non scadere nell’inverosimile più banale).
Non si creda poi che se gran parte degli episodi accadono nei confini e nei margini della provincia salentina, ci si trovi per questa scelta di fronte ad un libro figlio del folklore più castrante. La minuziosa, curatissima dovizia di situazioni spiazza invece in un continuo e azzeccato tourbillon di movimenti che ci porta dal capo di Leuca a Westminster, dal Palazzo Comunale di Diso alle vetrine della libreria Lattes in Torino, dal Capo Spartivento Calabro alle popolazioni Mapuche della regione del Rio Negro in Argentina.
E che dire, per esempio, delle note sulle vicissitudini del sommergibile Micca, della festa in onore di Atena descritta in una lettera di William M. Flinders Petrie indirizzata al prof. Rodolfo Lanzone Ispettore delle Antichità Egizie della Reale Accademia delle Scienze, del cameo di Conan Doyle (!), del cippo di Giacomo Boni archeologo scopritore del Lapis Niger, del logorroico porsi di Susy dall’alto del suo metro e cinquanta tacchi compresi?
Due dettagli per questo romanzo:
-Il primo è che si lascia leggere, come dicevo prima, con estrema piacevolezza. Piacevolezza che in questo caso non fa affatto rima con semplicistica leggerezza di contenuti, ma piuttosto con la sapiente mistura degli ingredienti con cui viene condita la scrittura, convenientemente distribuiti e dosati sempre e comunque un attimo prima di sfociare nell’eccesso di complessità o in quello di facilità. Un esercizio da (grand) gourmier, come ha già scritto Lorenzo De Donno in un suo articolo sullo stesso romanzo.
-Il secondo è che se credete di trovarvi solamente di fronte ad un’opera di letteratura potreste essere nel torto. A me è accaduto, pagina dopo pagina, di scivolare in una saletta cinematografica e di assistere ad un film di quelli attraenti, tanto l’accurata sceneggiatura e la calibrata stesura della trama, pressoché senza sbavature, paiono proiettare, oltre la consistenza della carta, scene e scenari sulle parete delle stanza che ospitava la mia lettura.
L’arcano e la maledizione, come l’ironia, la caratterizzazione, il substrato culturale, ci sono tutti, e aleggiano ora velatamente ora illuminati. Di più non si può e non oso dire, ché il fascino di questa indovinata narrazione resti tale, spingendovi all’acquisto ed alla successiva lettura, che a parer mio vi darà le chiavi per aprire uno scrigno di insospettabili sorprese. Senza per questo azzardare inopportuni confronti con i capolavori acclamati della letteratura italiana e non.
E il metodo Trumbo che fine, alla fine, ha fatto? Beh, abbandonato, perché non è pane per i miei denti e perché espone al rischio, se non si hanno gli attributi giusti, di millantare, con la pochezza propria del saputello, di aver trovato un qualche difetto nei romanzi di un Gadda o di un Kafka, tanto per dire.
Perciò il metodo in questione è bene lasciarlo alla penna, o alla tastiera, di chi, come un Mengaldo, ha le capacità critiche ed intellettuali per convenientemente utilizzarlo.
Suerte
p.s.: se nelle vostre escursioni tra i fondali a pochi metri dalla riva, o nelle passeggiate salutari tra sentieri poco battuti dalle lamiere delle auto, incappate in una qualche statuetta o monile o manufatto anche apparentemente appartenenti all’antichità, non impossessatevene! Potreste pentirvi amaramente! Meglio avvisare Sovrintendenza e/o Ministero dei Beni Culturali. Parola di Liguori e Bucci!
Pier Francesco Liguori – Francesco Bucci
Ultime voci dai fondali profondi LA MALEDIZIONE DEL TRAVANCORE
Les Flâneurs Edizioni, Reggio Calabria, 2021, 203 pagine, 16 euro
Pier Francesco Liguori ha pubblicato i romanzi “Il Custode delle reliquie” (2010) e “La stanza del Naturalista” (2012) e nel 2017 gli è stato conferito il Premio Meridiana.
Francesco Bucci ha pubblicato, tra l’altro, racconti e poesie su riviste e due romanzi brevi: “Se un pomeriggio d’estate una pompa di benzina” (2010) e “I giorni perduti d’Inghilterra” (2018).
Cesare Minutello
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