Bajani e il suo nuovo umanesimo
di Antonio Stanca
Nato a Roma, è vissuto a Cuneo e poi a Torino, dove tuttora risiede. Ha quarantaquattro anni e a ventisette ha pubblicato il suo primo romanzo, Morto un papa. Ha continuato a scrivere romanzi e racconti ma anche in altrimodi si è applicato. È stato autore d’importanti reportage, ha lavorato per il teatro, la radio, la televisione, ha tradotto opere dal francese e dall’inglese, ha scritto e scrive su molti giornali. Sempre impegnato si è mostrato, qualunque sia stato il genere del suo lavoro, a perseguire interessi di carattere culturale, morale, civile, sociale, a dire della necessità di salvaguardare la lingua e la letteratura italiana, di considerarle il nostro patrimonio principale, il nostro segno distintivo, di farle pervenire ai giovani, tramite la scuola, di educarli, formarli all’idea di patria, di nazione con una cultura e una lingua proprie, una propria tradizione, una propria storia letteraria e linguistica.
Anche per il recupero, la rivalutazione di altri valori, di altri principi si è battuto con le sue opere, con le sue attività. Oltre alla scuola anche alla famiglia ha creduto di dover assegnare dei compiti riguardo al rapporto tra genitori e figli, tra famiglia e società. Più di prima sono diventati importanti questi rapporti, ha sempre detto, poiché guastati sono stati dai tempi moderni, dai nuovi ambienti che hanno annullato quanto di semplice, di spontaneo, di naturale c’era sempre stato nella vita.
Andrea Bajani si chiama questo intellettuale, questo scrittore che sembra voler proclamare un nuovo umanesimo, voler richiamare a quella moralità, a quella spiritualità che i nuovi interessi puramente materiali hanno sommerso. Molti riconoscimenti e molte traduzioni hanno avuto le sue opere.
Un ulteriore esempio del programma perseguito dal Bajani può essere considerato il romanzo Mi riconosci, pubblicato la prima volta dalla Feltrinelli di Milano nel 2013 ed ora ristampato dalla stessa casa editrice.
È un omaggio quello che l’opera contiene, un gesto di ammirazione che lo scrittoreha volutocompiere alla memoria di Antonio Tabucchi, altro scrittore italiano nato a Pisa nel 1943 e morto a Lisbona nel 2012. Tabucchi era morto a soli sessantanove anni a causa di una grave malattia ma questo non gli aveva impedito di diventare uno scrittore noto, un docente di lingua e letteratura portoghese, di avere una famiglia e di intrattenere rapporti di amicizia come quello col Bajani. Sarebbe stato questi a cercarlo nella casa della provincia pisana dov’era nato, in quella di Parigi e in quella di Lisbona, dove sarebbe morto. Tra i due si era stabilito un rapporto di affetto oltre che di stima. Bajani era diventato amico anche della moglie del Tabucchi nonché della figlia e della nipote e nel 2013 penserà di scrivere questo romanzo per commemorare l’amico morto l’anno precedente. In effetti non è un romanzo ma una serie di ricordi, di pensieri, di riflessioni che l’autore riporta per esprimere la sua gratitudine di scrittore giovane verso uno scrittore maturo, per dichiarare quanto importante era stata per lui la sua figura, per mostrare la sua riconoscenza nei riguardi di un maestro.
Bajani ha scritto il libro perché ha voluto far sapere quanto ha appreso dal Tabucchi intellettuale, scrittore, uomo e perché ha creduto di fare di questa sua esperienza un principio per tutti valido. Vorrebbe dimostrare Bajani quanto valgono l’insegnamento e l’apprendimento, vorrebbe farne la via da seguire per superare i problemi che nella vita di oggi si sono venuti accumulando.
Insegnare a fare ed imparare a fare sono due aspetti, due parti, due momenti di una verità che lo scrittore vorrebbe far giungere a tutticome una delle più importantidi quell’operazione umanistica che sta conducendo.
Antonio Stanca
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.