di Antonio Stanca –

Un romanzo giallo, Zōo-La rabbia, di Matteo Guerrini ed un racconto dello stesso genere, La morte viaggia in cartolina, di Antonino Genovese, sono recentemente comparsi in un unico volume della serie “Il Giallo Mondadori Oro”. La prima opera aveva vinto il Premio Tedeschi 2022, la seconda il Premio GialloLuna  NeroNotte 2021.

Guerrini è nato a Milano nel 1977. Dopo il Liceo e l’Università ha sposato una pittrice giapponese e si è trasferito in Giappone. Qui vive con la famiglia e lavora come genetista. Zōo-La rabbia è il suo romanzo d’esordio.

Genovese è nato nel 1984. Lavora come anestesista e rianimatore. Ha scritto un romanzo noir, Scirocco e Zagara, e racconti che sono stati inclusi in antologie. 

Zōo-La rabbia, il primo romanzo del Guerrini, è ambientato in Giappone e già allora lo scrittore aveva mostrato la sua propensione verso il genere “giallo”, la sua inclinazione a rappresentare situazioni di alta tensione dove appena si distingue tra la vita e la morte, dove è facile passare dall’una all’altra condizione, “quasi si scherzasse”, ha detto una volta. In quest’opera molte sono le persone che muoiono, che vengono uccise, molte quelle implicate in traffici illeciti, molti gli ambienti coinvolti.

Al Guerrini piace il Giappone del passato, quello tradizionale, ma pure il Giappone moderno diventato poco chiaro, venuto a contatto con la clandestinità, i malaffari, la violenza. E’ l’altro motivo che lo ha spinto a scrivere romanzi gialli. In questo suo primo di vita clandestina, di depravazione c’è tanto, non finisce mai di scoprire il povero commissario di polizia Jo Hara del dipartimento di Kanagawa. Era stato incaricato dell’indagine relativa all’omicidio di un uomo alla stazione di Tokyo, poi di quella della strage di un’intera famiglia ed infine dell’altra di un buttafuori ucciso prima di tante altre vittime. Articolata, complicata sarà la situazione nella quale il commissario verrà a trovarsi. Ci saranno sempre cause remote, prossime, intenti celati, evidenti, responsabili, sospettati, colpevoli, vittime: il quadro si allargherà tanto da richiedere un’indagine quanto mai estesa, da far pensare che i misfatti non siano collegati, da rendere difficile scoprire motivi comuni in una simile situazione.  Moltissime sono le persone coinvolte, un’intera umanità ha agito male, ha fatto male: com’è possibile che siano valsi gli stessi propositi, che altri non ci siano stati? Invece è così, tutte le persone coinvolte hanno la stessa colpa, per ognuna c’è stata una ragione vicina o lontana, ognuna ha agito per uno scopo che era proprio ma anche di tutti. Quelle persone sapevano di far parte di un’azione comune. In questo groviglio Jo Hara, nonostante la sua esperienza e la sua capacità di pensiero e di azione, arriverà a commettere degli errori, sarà rimosso dall’incarico, ne soffrirà ma la sua figura, la sua maniera rimarranno tanto insolite, attireranno tanta attenzione nei lettori da rimanere impresse, da suscitare ammirazione. Alla fine non si riuscirà a capire chi sia valso di più, se tra lui e l’opera ci sia da fare una distinzione. Di Guerrini è il merito di questa ambivalenza, di questa oscillazione tra la pluralità di tanti e la singolarità di uno solo, tra una diffusa malvagità e un problema personale. Altro merito suo è un’esposizione così chiara da coinvolgere il lettore fin dall’inizio, da interessarlo per l’intera opera.

In La morte viaggia in cartolina, ambientato a Milazzo, mancano tutte le complicazioni del romanzo di Guerrini. E’ stato trovato ucciso il presidente di un Circolo di tennis, Giorgio Distefano. Una persona importante, aveva altri incarichi, era collegata con la politica, con gli amministratori del posto. Il maresciallo Vella è incaricato delle indagini e le svolge nei modi consueti anche se non mancano le sorprese. Arriverà all’assassino, anzi agli assassini. Erano stati due, il genero del Distefano e l’allenatore nel Circolo di tennis, col quale Distefano spesso litigava. Anche la figlia, Sonia, era stata complice e tutto si saprà grazie alle operazioni compiute dal maresciallo e dai suoi collaboratori.

Un racconto come tanti altri del Genovese, una narrazione dove accanto all’interesse per una grave vicenda emerge l’altro per la rappresentazione di un ambiente umano, sociale insolito, quello della Sicilia che rimane nascosta, che non si fa vedere e intanto si agita, si carica di cattivi pensieri, si propone cattive azioni, le compie. Completo è il discorso del Genovese, non riguarda solo il caso ma anche l’ambiente, non si limita a trovare colpe singole ma le mostra proprie di una vita, di una storia.

Antonio Stanca