di Gianni Ferraris

Lo scorso 15 maggio 2014, Roberto Vecchioni è stato ospite della nostra città; al Politeama Greco, ha fatto tappa il tour teatrale significativamente titolato “Io non appartengo più”. Con il cantautore brianzolo la sua storica band, Lucio Fabbri pianoforte, violino, chitarre; Massimo Germini chitarre; Roberto Gualdi batteria e Marco Mangelli basso, oltre ad un trio di archi formato da Costanza Costantino violino, Riviera Lazzeri violoncello e Chiara Scopelliti viola.

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E’ stato un viaggio a ritroso nel tempo, siamo tutti più vecchi, ricordo, erano gli anni ’70 quando acquistai uno dei suoi primi album, si chiamava Elisir, conteneva brani che mi sono rimasti dentro, Velasquez, A.R. (Rimbaud), Effetto notte, Figlia, Pani e pesci ed altre. Sgorgava poesia. Da allora lo seguii: Samarcanda, Luci a San Siro, e fra le più belle quelle della prima parte della scaletta del concerto di Lecce: L’ultimo spettacolo, Dentro gli occhi, Ninni.

Strano effetto rimbalzo, le poesie erano canzoni o viceversa, le emozioni, allora, in quegli anni densi di impegno e voglia di lasciarsi andare erano le stesse, forse avrei potuto detestarlo, diceva le cose che io sentivo mie. Eppure stavo ad ascoltare le cose che mi sarebbe piaciuto saper scrivere… era bello.

Era struggente come l’intimismo di Vecchioni, lui mettere in piazza emozioni e sensazioni, anche le mie, forse molte di una generazione intera.

Mentre suo padre finiva di giocarsi il cielo a dadi e suo fratello non arrivava più a giocare sugli argini, lui cresceva, io ascoltavo. Ed oggi è arrivato con quell’album, l’ultimo, e quella canzone che, ancora una volta, accidenti a lui, sento un po’ mia. Dedicata a chi non ha voglia più di crederci, ai disillusi tutti. A quelli che tuttavia non riescono a non guardare, a non osservare, a non sentirsi inadeguati di fronte a quell’irreale vero che ci circonda. Quel “io non appartengo più” in realtà è denuncia di fortissima appartenenza, quando ci sei dentro non riesci ad uscirne, quando vuoi capire e non ci riesci non molli la presa, riprovi e riprovi ancora. In fondo si è prigionieri in qualche modo.

… Sono sveglio dentro un sogno di totale indifferenza,
che persino tra le gambe mi si è persa la pazienza.
Io non appartengo al tempo del delirio digitale,
del pensiero orizzontale, di democrazia totale.
Appartengo a un altro tempo scritto sopra le mie dita,
con i segni di chitarra che mi rigano la vita.
Io l’ho vista la bellezza e ce l’ho stampata in cuore,
imbranata giovinezza a ogni antico nuovo amore.
Io non appartengo più, mi fa ridere lo ammetto,
ma vi giuro non lo faccio per malinconia o dispetto…

C’erano molti giovani ad ascoltare Vecchioni, ed applaudivano. Ognuno con la rilettura delle parole secondo il proprio sentire, il vissuto personale. E’ la grandezza di chi scrive, riuscire a far vibrare più emozioni. “Con l’occhio azzurro io ti salutavo, con quello blu io già ti rimpiangevo”… molti l’hanno vissuto, nessuno nello stesso modo, con identica intensità. Eravamo in molti ad ascoltare, ognuno immerso nelle sue sensazioni, quasi impermeabili a quel che avveniva attorno.

Gianni Ferraris