Io ci provo. III° Atto!
di Mauro Marino
É la terza volta in scena per “Io ci provo” e, a furia di provarci, il laboratorio rivolto ai detenuti della sezione maschile della “Casa circondariale Borgo San Nicola” ci regala, di anno in anno, “emozioni” sempre più certe sul fronte della costruzione teatrale.
L’adesione al lavoro di una Compagnia, al suo “segno ”, è sempre emozionale: il rapimento degli occhi, della complessità cognitiva, s’innerva nel sentire dello spettatore, spettacolo dopo spettacolo, con il crescere di quel “segno” che si fa necessità, espressione e lingua.
E se la necessità è il motore migliore per trovare motivo in un attore, questi attori, di necessità, ne hanno da vendere. Sentirsi liberi da detenuti, attraversare territori prima estranei alla loro vita, saggiare la propria capacità comunicativa, dimenticare un sé invadente spesso preso dall’orgoglio quando ostaggio di codici malavitosi, è pratica che muove bisogni, necessità, che mutano in stile, in nuovi comportamenti, in altra vita.
Eroica la perseveranza della regista Paola Leone, nella suo credere e nel suo chiedere, nel suo alzare ogni volta il tiro della rappresentazione, sfidando il senso comune e quello particolare che detta le regole della vita carceraria.
“Il carcere scompare con lo spettacolo” dice qualcuno e la sfida di Factory Compagnia Transadriatica, trova alleati per far progetti e continuare a lavorare in carcere tra dentro e fuori; quest’anno il sostegno finanziario è venuto dalla Chiesa Valdese, con il patrocinio della Regione Puglia, della Provincia di Lecce, del Comune di Lecce, del Teatro Pubblico Pugliese.
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Le pareti del tunnel, che dopo i cancelli d’entrata immette nel complesso delle sezioni, cambiano colore: l’odore di vernice fresca chiama lo sguardo al soffitto: da giallo diventa grigio. Poi guardi le pareti, tinte di un tenero glicine, colore non proprio istituzionale, pensi. Il colpo d’occhio lascia ben sperare sul futuro di questo carcere che sperimenta – tra i tanti progetti attivati al suo interno – anche la costruzione dal basso di nuovi spazi sociali come la barberia o la stanza del telefono….
Quel colore glicine bene si accorda con gli abiti degli attori, già in scena, per l’arrivo in sala degli spettatori. Rosso bordeaux la giacca, rosa i pantaloni, rosa e marrone le scarpe dei due camerieri in attesa. Che eleganza, che eleganza! Anche gli altri, portano toni raffinati, accordati, borghesi… Un tango apre la scena con il primo giro di molti giri di bicchierini. I due, a turno, vengono avanti a controllare il pubblico, occhiate lunghe, un tempo tenuto, serafico, autorevole. E tutto diviene liquido, assorbi la scena prima delle parole e poi godi quando cristallizzandosi tutto si ferma, immobile, nel divenire quadro, pittura proprio, come in chiusura, quando evocato, è l’ordine di Leonardo: la sua ultima cena.
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Rimbalzi di voci introducono la storia. La panne di una Maserati e il protagonista, per caso, si trova coinvolto in una serata tra soli uomini. Si sa, i maschi, quando giocano fanno sempre sul serio: a loro, avendolo già fatto per lavoro, piace far processi: “noi quattro qui seduti a questo tavolo siamo ormai in pensione e perciò ci siamo liberati dell’inutile peso delle formalità, delle scartoffie, dei verbali, e di tutto il ciarpame dei tribunali. Noi giudichiamo senza riguardo alla miseria delle leggi e dei commi”. Un tribunale severo, un tribunale privato dove godere – inanellando la giusta strategia processuale – della libertà d’eccedere… Un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e l’imputato. In quella per lui fatale sera, sarà il commesso viaggiatore Alfredo Traps – interpretato dal veterano della compagnia Alessio Pallara – un reato lo si trova sempre e se indagando indagando viene fuori il morto, è fatta, il senso di colpa farà il resto, in assenza del boia.
Una storia grottesca in cui “il destino muove da dietro le quinte e si compie, facendo giustizia”, si legge nel comunicato che accompagna lo spettacolo e ancora: “I dieci attori-detenuti – Gjeli Luftar, Alessio Pallara, Gertian Zaho, Gaetano Spera, Maurizio Mazzei, Marco Errini, Francesco Chiarillo, Benjamin Islamaj, Elis Dedei, Pierluigi Bolognese – in nome della giustizia invitano il pubblico a riflettere. Non si tratta di definire una giustizia ideale, un dover essere, che indica la strada da seguire per realizzare o avvicinarsi a ciò che vi è di perfetto. Si tratta piuttosto di seguire le strade tortuose, grottesche, spesso feroci, lungo le quali la giustizia trova la sua realizzazione”.
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Lo spettacolo tenutosi dal 5 all’8 maggio è stato proposto nel giorno del debutto ad un pubblico di soli detenuti, il giorno dopo agli studenti di istituti delle scuole superiori di Lecce, poi ancora al pubblico prenotato e alla stampa e nell’ultimo giorno di replica agli studenti dei corsi di Logica e teoria dell’argomentazione giuridica e di Procedura ed esecuzione penale dell’Università del Salento, accompagnati dai loro docenti.
Nelle foto gli uomini del tribunale, l’imputato interpretato da Alessio Pallara e il tribunale con l’imputato
Mauro Marino
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