di Paolo Vincenti –

Immigrazione e integrazione. In Italia oggi non si parla d’altro che di emigrazione e integrazione. In ispecie gli intellettuali e gli anchor men televisivi se ne sciacquano la bocca. Gli studiosi, i professoroni che pontificano dai media, soprattutto gli esponenti del Pd, che sono la punta di diamante del moderatismo e dell’accoglienza, hanno un bel dire con il loro finto ecumenismo che porterebbe ad abbracciare tutti quelli che arrivano.  I ragazzi, immigrati di seconda generazione, giovani e aitanti, che vengono invitati nelle trasmissioni televisive, sempre molto preparati e determinati, che parlano con l’accento romano o fiorentino o siciliano, contribuiscono a questa sorta di operazione simpatia voluta dalla politica democratica e progressista del Pd, ma sono uno specchio deformato, non veritiero, della realtà. Questi giovani vanno in tv per chiedere la cittadinanza italiana, per denunciare le storture di un sistema burocratico farraginoso che non permette loro di acquisire quello cui legittimamente aspirano. Ed hanno ragione. Ci sarebbe però da aggiungere che anche gli attentatori dell’Isis ormai sono tutti cittadini naturalizzati, francesi, spagnoli, inglesi, ecc., e dunque non tutti i naturalizzati italiani sono belli e bravi come quelli che appaiono in tv e soprattutto non basta nascere su suolo territoriale per essere italiani più veri di Toto Cutugno. Molti immigrati sono ottusi, ignoranti, proprio come gli italiani, e non hanno mai voluto integrarsi con il nostro popolo. Conducono vita a parte, frequentano la loro comunità di appartenenza, indifferenti, impermeabili alle nostre tradizioni, ai nostri usi e costumi.  Qui lo dico e qui lo nego, e sono pronto ad essere impiccato a testa in giù, ma non sono il fratello illegittimo di Alessandro Sallusti, né il cognato “litigato” di Maurizio Belpietro, né il nipote sfortunato di Paolo Del Debbio.

La vera integrazione avviene solo attraverso la cultura. Imparare l’italiano è condizione essenziale ma non sufficiente.  Gli insegnanti delle scuole primarie conoscono bene l’argomento, essi hanno il polso della situazione perché si ritrovano ormai in classi multietniche nelle quali il difficile cammino dell’integrazione è all’inizio, e quindi la formazione di base dei figli di extracomunitari è, per maestri e maestre, lavoro quotidiano ed essi sanno quante difficoltà debbano affrontare questi bambini all’incontro-scontro con la realtà italiana, ciò perché non vi vengono preparati dai genitori, e la scuola si trova sola, come unica agenzia educativa, con l’enorme responsabilità di “fare” i nuovi italiani, senza il supporto delle famiglie. Lo Ius soli è una legge che non risolve il problema, nella esplosiva situazione che viviamo in Italia. E questo si può affermare anche senza essere un pericoloso sanguinario di destra, un puzzolente razzista.  L’impegno del Ministro Marco Minniti nel fermare gli sbarchi è encomiabile, ma ancora non basta. È da tutti riconosciuto che l’impegno deve essere non solo quello dei paesi frontalieri, ma di tutta l’Europa, facendo corpo unico di fronte alla più grande emergenza umanitaria del secolo. Dunque, più che di ius soli o di reddito da inclusione, bisognerebbe parlare di ius culturae. Ma il dibattito su questo tema oggi è animato da scontri faziosi e preconcetti, da divisioni farisaiche fra chi è contro gli immigrati senza se e senza ma e chi invece vuole riceverli tutti. Non è così che si può procedere, nel sommovimento in corso. Ci vorrebbe uno sguardo illuminato, frutto di un pensiero lungo, di studiosi e governanti alieni dalla demagogia e bassezza morale, da interesse e disonestà intellettuale.  E chi ha uno sguardo de travers sull’oggi? Non vedo illuminati pronti a indicare la via, in questo desolante panorama.

Referendum 26 ottobre. Un referendum che non serve a nulla. Solo una bandierina che la Lega Nord può issare in quella Padania già teatro delle ardimentose imprese del Senatùr Bossi e delle sue provocazioni folkloristiche secessionistiche. Una consultazione popolare dove si poteva votare col tablet che però in Lombardia si è inceppato, fra lo scorno della casa produttrice dei tablet (pare che la ditta fornitrice sia olandese) e le difese d’ufficio del Governatore Maroni. Ma perché sostituire il voto cartaceo con quello elettronico? Va bè, io sarò vecchio, e la mia opinione conta come il due di picche. Ma Zaia e Maroni, comunque, questa partita di bridge dovranno giocarla col gentile Gentiloni a Roma per trattare tempi e modi dell’ autonomia. Ma dovranno stare attenti  che Gentiloni non bluffi e che questa trovata del residuo fiscale, lungi dal migliorare i servizi al Settentrione, non lasci tutto così come è, con la sola differenza che il Sud annasperà ancora di più nel sottosviluppo e nella assenza di prospettive.

Celebration. Il più famoso dei critici televisivi italiani dileggia il più famoso dei critici musicali. Divertente. Ma fra primedonne è così. Più si sale in alto e più corrode la gelosia e dilaniano le beghe.  Aldo Grasso attacca Vincenzo Mollica. In pratica, per colpire la trasmissione “Celebration”, trasmessa il sabato sera da Rai1 e l’inutile intervento all’interno di essa del giornalista musicale Ernesto Assante, Grasso scomoda il Mollicone nazionale e la sua famosa enfasi che lo porta ad osannare qualsiasi disco o cantante di cui si occupi.  A chiusura del pezzo, lo scorpione Grasso trova il modo pure di fare un velenoso riferimento (in cauda venenum appunto) alla trasmissione “Tv Talk”  di Raitre che evidentemente non rientra nelle sue simpatie, consigliando al logorroico Assante di andare nella trasmissione di  Massimo Bernardini che ospiterebbe, a suo dire, l’ultima frontiera dei critici prestati alla tv.

Paolo Vincenti – 1 novembre 2017