di Paolo Vincenti – Che delusione, amarissima delusione. Alla fine i due fratelli coltelli, Giggino  e Matteo, hanno stretto quell’accordo che da più parti si paventava o auspicava. Vistisi alle strette, con il Presidente Mattarella pronto ad affidare l’incarico ad un Premier terzo, hanno preso il telefono ed hanno fermato tutto. E il Colle ha concesso loro un supplemento di tempo per presentargli una proposta decente di un governo la qualunque, e così il papocchio è servito. I Dioscuri, come sono stati ribattezzati dalla stampa, hanno trovato la quadra, direbbe Bossi, solo che il vecchio Senatùr non è affatto contento di questa soluzione, essendo egli restato fedele al Cavaliere. Che disdetta, terribile amarezza. Eppure avevo pensato davvero che il Lumbard potesse mantenere fede alle proprie parole e non rompere la coalizione di centro-destra con la quale è stato eletto. Non perché io nutra particolari simpatie per Forza Italia o Fratelli d’Italia, e nemmeno per la Lega, ma avrei voluto vedere alla prova del Governo Salvini. Infatti, fra i due mali venuti fuori dalle elezioni del 4 marzo, ho deciso di scegliere quello che ritengo minore e di fare come dicono i napoletani: “abbracciati ‘o cess’ e canta: non son degno di te!”. E fra populisti in salsa cinque stelle e populisti in salsa lombarda, optare per questi ultimi.  Chiaro che anche i margini per un governo del centro-destra non ci fossero. Io speravo si andasse a nuove elezioni e, se proprio i Cinque Stelle dovessero stravincere, che essi governassero da soli, per potersi così autodistruggere. Ma il papocchio no. E il contratto di governo? Una barzelletta che sta facendo ridere, per non piangere, tutti gli analisti politici. Mattarella, più che notaio, becchino, si limita a ratificare questo insulso accordo sotto gli occhi strabiliati degli osservatori internazionali. Ben diversamente sarebbe andata se su quello scranno sedesse ancora l’interventista Napolitano, il quale invece se la passa malaccio seduto in un letto d’ospedale per via della recente operazione al cuore.  Tanti spingevano per questo accordo. Ma che Salvini si facesse prendere così per la collottola dal più giovane Di Maio, non lo avrei detto. Egli, leader scafato, maturo, certamente un po’ grossier ma con le idee chiare, dimostrava di essere all’altezza del ruolo che buona parte dell’elettorato italiano gli aveva assegnato, cioè quello di dare una svolta reazionaria, xenofoba e militaresca a questo Paese, giusto per vedere l’effetto che fa, il tempo di una legislatura.  Invece, Di Maio, con un mix di astuzia e capacità, è riuscito a gabbare il leghista e l’ha blandito, lo ha circuito, allettato, con le sue  profferte, e alla fine se l’è messo nel sacco. Che brutta fine per la Lega Nord, che da primo partito di una coalizione potenzialmente vincente diviene costola del Movimento grillino. I pentastellati, a forza di balle, sono riusciti ad imbecherare gli elettori e anche l’establishment; da straccioni, anti sistema, refrattari ad inchini e riverenze, sono diventati delle star da copertina di riviste patinate, amici degli amici, da pezzenti descamisados a pezzi da 90, da giustizialisti ad ipergarantisti, e così va il mondo e prenditelainsaccoccia. Berlusconi ha sempre temuto questo accordo e negli ultimi tempi si era fatto malfidente nei confronti del suo giovane alleato. Ma si trovava in un vicolo cieco, che cosa poteva fare il vecchio leader? O muori adesso o più tardi, l’aut aut. Messo all’angolo da Salvini, doveva scegliere fra andare subito alle elezioni, con la quasi certezza che il suo partito si polverizzasse (non gli era ancora giunta la notizia della sua riabilitazione e conseguente rieleggibilità), oppure accettare un governo Cinque Stelle- Lega. Ha scelto anche lui il male minore, posto che la soluzione migliore, quella di mantenere unito il centro- destra, era ormai divenuta utopia. Magari il Caimano avrà trattato segretamente coi Cinque stelle, mediatore Salvini, per ottenere delle garanzie per le sue aziende e forse l’assicurazione che non si toccherà il conflitto di interessi. Di Maio si è lavato la coscienza con i suoi elettori perché può rivendicare di aver messo fuori Berlusconi. Ma non si capisce qual sia il tornaconto di Salvini. Farà parte di un Governo a trazione Cinque Stelle, sarà Di Maio a dare le carte, lui deve fargli da cameriere. Non ricorda forse la fine che ha fatto Fini? E quella che ha fatto Alfano? Spariti nel buco spaziotemporale, ricacciati nell’oblio. E inoltre, quanto dovrà cedere sul suo programma, visto che si tratta di un governo di compromesso? Ma pure Di Maio dovrà fare molti passi indietro rispetto alle dinamitarde dichiarazioni della campagna elettorale. Come farà a cambiare i criteri di nomina della Rai, visto che Salvini non la pensa allo stesso modo su questo punto? E ancor peggio, come farà a praticare la lotta dura alla corruzione e alla mafia stante l’ingombrante presenza di Berlusconi del quale Salvini si è fatto garante in cambio del via libera all’accordo?  Accetteranno gli elettori Cinque Stelle, già stufi delle incredibili capriole di Di Maio (che infatti è in leggero calo nei sondaggi), accettare questo ulteriore compromesso al ribasso? E cosa sarà della nostra presenza in Europa con un governo guidato da due forze che sono tradizionalmente una euroscettica e l’altra anti Ue e anti euro? Eppure, come spiega Gianfranco Viesti, su “Il Messaggero”, del 4 maggio 2018, noi abbiamo bisogno dell’Europa. Specie al Sud, “i fondi regionali europei sono l’unico strumento per potenziare l’ancora assai carente infrastrutturazione materiale e immateriale, rafforzare le sue imprese, dare prospettive e speranze ai cittadini più deboli”. In particolare, con il drastico taglio dei Fondi di Sviluppo e Coesione previsto dalla proposta di Bilancio europeo 2021-2027, per far fronte alle perdite determinate dalla Brexit, ad essere penalizzate saranno soprattutto le regioni del Sud Italia. Il Governo che si sta formando saprà battere i pugni sul tavolo della Commissione Europea per fermare questo drenaggio di fondi a discapito dei più deboli? L’Italia è tra i Paesi fondatori dell’Ue e dovrebbe certamente aver più voce in capitolo, tenendo conto che i finanziamenti europei sono ossigeno per le moribonde aziende meridionali, per la languente formazione professionale, per le carenti infrastrutture. Chi, fra Lega e Movimento Cinque Stelle, potrà avviare questa trattativa con la Commissione Europea? Nei loro proclami elettorali essi hanno sbandierato attenzione per le aree più depresse del Sud, ma nei fatti temo che non sapranno far allocare maggiori risorse, spingere davvero la ripresa economica, dovendosi per questo scontrare con un sovraente, l’Europa, nel quale non credono. E allora sarà di nuovo l’assistenzialismo la risposta alla endemica fame di sviluppo del Meridione. Quello che hanno saputo inventarsi è un contratto di governo che sembra un libro dei sogni, per la cui realizzazione è stato affidato l’incarico ad un anonimo e sciapito Premier passepartout, l’azzimato Conte. Non esistono ricette miracolose, si sa, ma si è rinunciato anche a quel minimo di aspettativa, magari beota, a quel tenue lumicino che in genere si accende in presenza di un cambiamento. Stavolta nemmeno vale la stolida speranza, sappiamo già come andrà a finire, è un copione già scritto, e l’acritica adesione degli elettorati Cinque Stelle e Lega al programma di governo, soltanto una sbandata collettiva, un miraggio che si dissolverà appena essi scenderanno dalla nave del viaggio di nozze. Mettere i piedi a terra sarà un brusco e traumatico risveglio.

Paolo Vincenti