di Marcello Buttazzo –

Le prigioni sono un’istituzione prettamente maschile. Secondo i dati dell’associazione Antigone, le donne attualmente ristrette sono 2307 su un totale di circa 55mila detenuti. Le testimonianze di alcune volontarie della Comunità di Sant’Egidio evidenziano che il carcere femminile sia da ripensare. Le celle di dura ferraglia non tengono conto delle esigenze delle donne, ad esempio di quelle in gravidanza. A Lecce, si adopera fattivamente la cooperativa “Made in carcere”, che è molto attiva, creativa e propositiva. Dal 2007 a oggi, in 15 anni, nella sartoria e nei laboratori della cooperativa sociale sono transitate più di 200 detenute. Luciana Delle Donne, fondatrice e presidente di “Made in carcere”, ha spiegato: “Il livello di recidiva fra le nostre dipendenti è stata pari a zero. Quando escono di qui hanno le competenze necessarie per trovare un lavoro”. Il pensiero paradigmatico, che muove ogni cosa, è che la bellezza deve entrare anche in un luogo solitamente marginalizzato, laddove non solo si devono scontare le pene, ma si deve anche (e primariamente) provvedere alla riabilitazione umana, alla socializzazione, alla integrazione.