Sapremo essere formiche laboriose? Una nuova aurora verrà?
di Marcello Buttazzo –
Quando l’età ineludibilmente avanza e s’avvia verso la sua fase ultima, può capitare di porsi quesiti essenziali, lineari, elementari, del tipo: cosa aspettarsi ancora dalla vita? Val la pena ancora attendere i primi lucori dell’aurora, dopo la lunga, interminabile notte, sitibonda d’amore? Il futuro prossimo può ancora sorprenderci positivamente? Nonostante la crudezza e l’asperità di questa ferrigna realtà, forse non dovremmo mai dismettere di praticare la religione della diritta postura morale. Il comportamento etico distingue l’Homo sapiens sapiens dalle altre specie. Essere individui contegnosi, rispettosi, è una condizione fondamentale per edificare una società di buoni cittadini. Il tempo passa, vola, trasvola, ma non ci stanchiamo mai di amare, di desiderare, di attendere, di sperare. L’amore è il collante che ci lega alla vita. Amore per i genitori, per l’innamorata, per l’innamorato, per gli amici, per le compagne, per le muse. “L’amore non finisce mai/si fa più piccolo che può”, canta Roberto Vecchioni. Ed è così. Personalmente, non prediligo l’amore condizionato, ragionato, studiato a tavolino. Mi piace, invece, l’amore pazzo, illimitato, senza condizioni. L’amore di Dino Campana per Sibilla Aleramo. L’amore di Alda Merini per Titano e per Charles. L’amore infinito della grande poetessa dei Navigli per San Francesco, anima folle, stremata. L’amore di Salvatore Toma per la Natura virente. L’amore di Antonio Verri per la parola, ch’era stupore, meraviglia, incanto. L’amore di Giorgio Caproni per il verso snello, chiaro, limpido. Amare l’amore non è male, in questo tempo di guerre assassine, criminali, in cui viene fatto strame dell’umano. Amare l’amore nel fondo del fondo, fin dentro le sue scaturigini, fin oltre le sue propaggini. E amare in modo inesausto tutto ciò che all’amore è connesso: l’amicizia, la solidarietà, la condivisione, il dono. In quest’era di efficientismo spinto allo stremo, di individualismo sfrenato, di materialismo esaltato come unica ragione dell’esistente, fa bene all’anima aprirsi al dono. Donare è darsi all’altro, all’altra, senza nulla pretendere in cambio. Più di dieci anni fa, Mauro Marino, ex direttore de “Il Paese Nuovo”, scriveva sul corsaro quotidiano salentino, in un vibrante mattinale, che “il dono è cosa da poeti”. Il dono reca la leggerezza e la sapienza della poesia. Il dono è virtù di suono, è vibrare d’elitre di lepidottero, è la metamorfosi del bruco in farfalla. Dario Bellezza sapeva donare la sua amicizia a Pier Paolo Pasolini. I nostri amici, le nostre amiche sanno donare a noi il loro tempo, il loro ingegno, l’aurora nivea del loro bel viso. E quindi ancora la domanda: cosa aspettarsi ancora dalla vita? Magari una società più umana. Una società di persone, che sappia predefinire i canoni della civile convivenza, che non differenzi in base all’appartenenza di sesso, di genere, al colore della pelle, al gruppo etnico e alla religione di provenienza. Allora, cosa aspettarsi dalla vita? Una società di costruttori, di formiche laboriose, di giovani che inseguano giorno e notte sogni, utopie, riscontri pratici. Aspettarsi che opinionisti e giornalisti schierati la finissero di ghettizzare e di irridere, ad esempio, le ragazze e i ragazzi ecologisti di “Ultima generazione”, che si battono pacificamente e in modo non violento per un ripristino dell’omeostasi ambientale. Cosa aspettarsi ancora? Mille, diecimila, centomila baci per chi ha bisogno d’amore. Un milione di carezze per chi ha vuoti esistenziali. “Che piova un po’ di meno su tutti quelli che non hanno l’ombrello”, come canta il Principe De Gregori. Aspettare l’aurora che succede alla notte. E lascia il posto al mattino, che prosegue nel meriggio di fuoco. Fino all’occaso aranciato di pace e alla sera serafica, serena. Per poi perdersi ancora nella notte, popolata di improponibili chimere.
Marcello Buttazzo
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.