Omaggio a Eugenio Barba, o dell’energia
di Andrea Aufieri
E’ stato presentato questa mattina alla Mostra del Cinema di Venezia il documentario
di Davide Barletti e Jacopo Quadri
dedicato ai cinquant’anni di attività dell’Odin Teatret e a Eugenio Barba.
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«Cos’è un attore quando non ha con se uno spettacolo?» Una vita, quella di Eugenio Barba, consacrata a rispondere alla sua stessa domanda. E una risposta, quella del suo Odin Teatret, che da cinquant’anni sbalordisce il mondo del teatro e il suo pubblico.
«Il paese dove gli alberi volano» è il film con cui Davide Barletti e Jacopo Quadri documentano l’arte in divenire della festuge, quattordici giorni di festeggiamenti che ogni due anni l’Odin regala al paese di residenza della compagnia, Holstebro, in Danimarca. Una festuge speciale, però, quella del 2014, perché celebrava il primo mezzo secolo di vita dell’ utopia realizzata da Barba, nato a Brindisi e cresciuto a Galipoli, considerato tra i massimi esponenti della cultura europea e per questo insignito del prestigioso premio Sonning.
Il documentario è stato proiettato in anteprima mondiale l’11 settembre alla Giornata degli autori della Mostra del cinema di Venezia. Da Torre Guaceto, dove sta girando con Lorenzo Conte il film basato sull’opera di Carlo D’Amicis, «La guerra dei Cafoni», Davide Barletti ritorna alla magia delle due settimane danesi. Non è un caso che nelle interviste rilasciate a riguardo Barletti usi spesso l’aggettivo leggendario: «L’immaginario creato da Barba non può che essere legato alla leggenda. Eugenio è un rivoluzionario, sia per quello che ha fatto nella sua vita, sia per quello che è riuscito a creare con la sua opera».
Dopo anni difficili, l’artista emigrato dalla Puglia ha svolto molti lavori, tracui il mozzo su una nave mercantile e il saldatore per un’azienda metalmeccanica. Nel 1964 approda in Norvegia, dove fonda l’Odin con gli attori rifiutati dalla scuola di teatro di Oslo. Due anni dopo gli viene recapitata una lettera singolare dal sindaco-postino di un paese della Danimarca, Holstebro: venga da noi, c’è scritto, non abbiamo molto, ma in cambio possiamo condividere una fattoria e alcuni animali.
«Oggi-commenta Barletti- la profezia di un sindaco che aveva appena la quinta elementare ha fatto del suo paese uno dei luoghi simbolo del teatro occidentale. Oggi quel luogo è il collante di un’intero tessuto sociale. Filmando ci siamo resi conto dell’importanza dei rapporti che l’Odin riesce a sviluppare per la città, per i cittadini e con le istituzioni, qualcosa di molto raro». Qualcosa che definisce bene il concetto del baratto culturale dell’Odin: arte per ricambiare l’ospitalità, come hanno appreso coloro che hanno avuto la fortuna di partecipare alla residenza che il teatro realizzò a Carpignano Salentino nel lungo tour del 1974.
L’obiettivo del film non è l’agiografia, ma «un’occasione irripetibile per raccontare da dentro la lavorazione di uno spettacolo straordinario ed effimero». Alcune compagnie di ballerini formate da ragazzi di strada provenienti dal Brasile, dal Kenya e da Bali, con cavalli trombe, palloncini e festoni hanno invaso la cittadina: «Si è creata una dimensione magico-fiabesca che ci ha permesso di cogliere il senso di un’utopia che non solo è stata realizzata, ma che si è consolidata. Quando abbiamo visto dei piccoli alberi alzarsi in volo sostenuti da alcuni palloncini, abbiamo capito che quello era il titolo del film».
Un’immagine che richiama immediatamente I principi del teatro povero, ma ricco di gioia, di Jerzy Grotowski, maestro e mentore di Barba. E ne aggiungono l’esperienza spiriturale dell’alterità mutuata dal filtro di Gurdjeff. Uno sguardo diverso, santo e laico, come il maestro cresciuto a Gallipoli ha sperimentato negli ultimi cinquant’anni.
I due autori hanno costretto il maestro alla loro presenza, in parte accontentandolo sulla realizzazione di un film che non fosse su di lui ma sul «popolo segreto» che avrebbe partecipato alla festuge e per il quale aveva persino scritto delle domande, una reciproca accoglienza, un baratto. La difficoltà tecnica di filmare gesti teatrali non è da poco, ma I due autori vantano una grande esperienza. Davide Barletti, nato a Lecce, ha all’attivo più di trenta pellicole, due delle quali già premiate dalla distribuzione nelle sale: «Italian Sud Est» (2003), psichedelico viaggio sulle ferrovie che collegano il Salento, e «Fine pena mai» (2008), con Claudio Santamaria e Valentina Cervi. Jacopo Quadri, milanese, è un montatore molto apprezzato: ha messo la firma su almeno una ventina di successi cinematografici italiani, compresi «Morte di un matematico napoletano» (1992) di Mario Martone, Gran Premio della Giuria a Venezia, per il quale si è aggiudicato il David di Donatello per il miglior montaggio e «Sacro GRA» (2013) di Gianfranco Rosi, primo documentario a ottenere la Palma d’Oro.
Così Barletti riassume la sua esperienza, provando a dare la sua risposta alla ricerca sull’essenza dell’attore di Barba: «Un attore senza uno spettacolo con sé è un falegname, un artigiano, un organizzatore che trova così un modo alternativo di vivere la sua vita, al meglio di sé stesso».
Andrea Aufieri
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