Lo Stato islamico, gli “errori” dell’Occidente e l’altra “modernità”
di Giuseppe Spedicato
Lo Stato islamico viene da tutti rappresentato come la più grande minaccia per il mondo intero. Sgozza gli occidentali, perseguita i cristiani e le altre minoranze religiose. Ci dicono ancora, che non abbiamo alternative, dobbiamo reagire, dobbiamo armare le milizie curde e bombardare le loro basi in Iraq ed in Siria. Questo nuovo nemico ci inquieta anche perché sembra venuto dal nulla, ma non è così, ha tanti padri anche se nessuno di questi lo vuole riconoscere come figlio. Lo Stato islamico è il logico riultato di tante politiche e di tanti errori, che hanno provocato la destabilizzazione del Medio Oriente e non certo per promuovere la pace e la democrazia in quest’area. Non poche volte chi sollecita iniziative militari contro questa grave minaccia, nel recente passato ha lavorato non poco per alimentarla. È da decenni che si utilizzano i movimenti islamisti per combattere i nemici comuni degli USA, dei Paesi del Golfo Persico e di altri paesi islamici e non. Sono stati utilizzati per indebolire, a volte annientare, le forze progressiste in molti paesi arabi e per combattere l’Unione Sovietica in Afhanistan. In questi ultimi anni in Siria si è utilizzata la stessa strategia, si sono armati gruppi islamisti per fare la guerra al regime siriano. Non dimenichiamo che l’Inghilterra per molti anni ha offerto ospitalità ad esponenti di primo piano dei movimenti islamisti. Ben prima dell’attentato alle “torri gemelle” un diplomatico marocchino mi confidò che quando la polizia marocchina era vicina alla cattura di qualche capo islamista, questo fuggiva in Inghilterra e oltre a non averne l’estradizione, costui nella sua nuova residenza continuava indisturbato a fare il suo lavoro. Mi disse ancora: “In Europa presterete attenzione a questi movimenti criminali solo quando inizieranno ad uccidere degli occidentali; le nostre morti non fanno notizia”. Così è stato. Lo Stato islamico è anche il risultato delle devastanti imprese militari in Iraq ed in Afghanistan.
Tutto ciò ha partorito dei “mostri” come Al qaida e lo Stato islamico, che forse sono sfuggiti ad ogni controllo e si muovono con proprie forze e con una propria strategia. Fatto sta che lo Stato islamico opera in Siria, Iraq ed ora anche in Algeria. La Siria e l’Algeria sono paesi che da molti anni hanno legami privilegiati con la Russia e l’Iraq è un paese che forse stava per abbandonare la forzata alleanza con gli USA. Inoltre, entrambi i paesi, soprattutto Siria ed Iraq, anche se abitati soprattutto da popolazioni islamiche, sino ad un recente passato si potevano considerare laici. Ma mentre tutti parlano e scrivono della questione Stato islamico, molto poco dibattuto è un altro pericolo: il clima di odio che si sta alimentando nei paesi arabi contro l’Occidente. Questo odio, sapientemente veicolato, rischia di trasformare la religione islamica in islamismo. Ovvero in una nuova religione, vuota di valori religiosi (a partire dalla misericordia) e culturali, e molto poco disponibile al dialogo. O per dirla in altro modo gli sforzi fatti per globalizzare ogni cosa, per omologare ogni cosa, nei paesi islamici, arabi in particolare, stanno producendo una “modernità” differente da quella sperata. Si rifiuta la “modernità” occidentale creandone una nuova partendo dalle proprie radici culturali, ma anche modificandole adottando sempre di più quelle wahabbite. In Afghanistan i talebani sono arrivati a distruggere le statue del Budda con l’intento di modificare la storia remota del loro paese, dove tutto deve essere riferito alla loro interpretazione dell’Islam. Ciò vuol dire che sarà sempre più difficile costruire una vera politica mediterranea, sempre più difficile creare un’intesa tra le due sponde del Mediterraneo, sempre più difficile il dialogo tra i popoli arabi e quelli europei. Vale a dire che si consoliderà lo status quo. I popoli continueranno ad odiarsi e le rispettive élites continueranno a fare affari sulla pelle dei rispettivi popoli e come tutti sappiamo uno degli affari più redditizi è quello del traffico delle armi.
Per far meglio comprendere di cosa si sta parlando, riportiamo quanto riferito da Giorgio Beretta, esperto dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia, intervistato da Giustino Di Domenico: «Il Medio Oriente è la zona nel mondo verso cui – secondo l’autorevole istituto di ricerca svedese SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) – è diretta la maggior parte di sistemi militari: nell’ultimo decennio ne sono stati inviati per oltre 51 miliardi di dollari, che rappresentano più del 20 per cento di tutti i trasferimenti mondiali di armamenti. Un quinto di tutti i sistemi militari venduti nel mondo va quindi a finire proprio in Medio Oriente». Aggiunge ancora: «Detto in breve, chi più di altri sta armando il Medio Oriente non è qualche strano “Paese canaglia”, ma le maggiori potenze occidentali e, tra queste, anche i paesi dell’Unione europea: sommandoli, infatti i trasferimenti di armamenti da tutti i Paesi dell’Ue verso il Medio Oriente superano i 15 miliardi di dollari».
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