Le frontiere e la Convenzione di Ginevra
Nonostante gli accordi parzialmente securitari stretti fra il nostro governo uscente di centrosinistra e la Libia del caos istituzionale, continuano ad arrivare ancora sulle nostre coste carrette del mare cariche di profughi, di immigrati cosiddetti economici, in fuga da belluini conflitti, da persecuzioni cruente, da nera e avvilente miseria. La situazione è quella che è. Esiste una Convenzione di Ginevra che afferma irrefutabilmente che i migranti e i profughi non possono essere mandati indietro. La Convenzione di Ginevra va rispettata. Ci vuole coraggio, spirito d’abnegazione, senso d’umanità e di civiltà. Non si può più indugiare, tergiversare. L’Europa delle banche, la Comunità internazionale, i vari Stati (non solo l’Italia) devono farsi carico della questione, in nome d’una suprema etica della responsabilità. Sono necessarie più che mai operazioni pacifiche e diplomatiche nei Paesi d’origine della gente in fuga per tentare di ripristinare equilibri. Completamente fuori strada sono quei gruppi politici, che vorrebbero chiudere le frontiere, o addirittura mandare indietro l’umanità migrante, ricacciandola nella bocca del leone. Siamo stanchi, nel nostro Paese, della propaganda di bassa lega di Matteo Salvini ed epigoni vari. I flussi, seppur blandi, non possono essere fermati, ma solo governati e disciplinati. Nonostante le paure e le recrudescenze terroristiche, la società multietnica e multiculturale è un dato di fatto, perché i popoli sono da sempre in movimento. L’Italia è una terra di confine, di frontiera, aperta alla bellezza migrante. La scommessa antropologica della modernità è quella di favorire con discernimento l’interazione, l’integrazione, la civile convivenza. In un’era di globalizzazione che avanza, il mondo s’è ristretto sempre più: si può davvero, pur nell’ indigenza, vivere tutti assieme pacificamente. Mettendo da parte ogni inasprimento religioso e ideologico, ci si può incontrare fra gruppi etnici diversi e prosperare. Certo, occorre massima apertura e condivisione. La tematica è di ampio spettro, di vastissimo respiro, perché bussa direttamente alle porte dell’Unione europea, da sempre distratta e inadeguata. In Italia, non dobbiamo essere egoisti, ma realisti. Da noi c’è gente che arriva. C’è chi da tempo risiede nel nostro Paese e fa funzionare la nostra economia. Tutti gli Stati europei dovrebbero saper spalancare le braccia a questa multiforme umanità, che merita attenzione, protezione, rispetto. È necessario superare le paure insensate, gli irrazionali e pericolosi stereotipi, le vulgate demagogiche di certi propagandisti, che vedono nell’altro da sé non una risorsa, ma un potenziale nemico, una minaccia. La civiltà occidentale è in cammino e non si può fermare a innalzare steccati, quando il mondo reclama in modo insistito la costruzione di ponti.
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