La sinistra nell’ era del cambiamento
di Silverio Tomeo
La “Ragionevole follia dei beni comuni”, era questo il sottotitolo di “Homo Civicus”, un bel testodel 2004del sociologo Franco Cassano. Probabilmente furono Cassano, e soprattutto Carlo Donolo,tra i primi a introdurre nel dibattito di idee italiano la tematica dei beni comuni, per quanto il sociologo dell’ Università di Bari sembrasse già allora ridurla a quella dei beni pubblici, dei beni immateriali e al “bene comune”. I beni comuni (commons) non sono il “bene comune”, concetto derivato da Tommaso D’Aquino e dalla scolastica medievale, il “bonumcommune” che nell’età moderna si è secolarizzato nel concetto di “interesse generale”. Adesso, a distanza di dieci anni, nel pamphlet“Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento” (Laterza, 2014), Cassano liquida frettolosamente la teoria dei beni comuni nel polemico capitolo sulla “sinistra radicale”. Ma non sono poche le aporie e le incongruenze in questo ultimo testo, che segna una nuova curvatura teorica dell’autore.
Alle elezioni politiche del febbraio 2013 il padre nobile dell’operaismo italiano Mario Tronti, ora presidente del CRS (Centro per la Riforma dello Stato) e archivio Pietro Ingrao, viene eletto al Senato. Il filosofo della politica Carlo Galli viene eletto alla Camera, così come Franco Cassano. Tre intellettuali nelle file del PD, ma non si tratta della “sinistra indipendente” con il vecchio PCI, che si costituì in gruppi parlamentari autonomi ed espresse personalità di rilievo come Stefano Rodotà, Gianfranco Pasquino, Altiero Spinelli, Mario Gozzini, Guido Rossi, Claudio Napoleoni, solo per ricordarne alcuni. Essere eletti in un partito e pubblicare un pamphlet sono fatti differenti, ma entrambipubblici, e per quanto Cassano voglia discutere del merito del suo libro non si sfugge alla sensazione di un sapore giustificazionista di quest’ ultimo lavoro. Dal lato dell’autonomia culturale del Sud (vedi il fortunato “Pensiero meridiano” del 1996), dal lato dell’autonomia della società civile e della cittadinanza attiva, ben presente anche nella fase propulsiva della “primavera pugliese”, Cassano rimase sempre abbastanza distaccato dai movimenti sociali collettivi ed estraneo alle nuove culture politiche dal basso e alter-mondialiste che esprimevano. In un convegno di Scienze delle Comunicazioni dell’Università del Salento sul finiredel 2011, con la presenza anche di “negriani di sinistra” come Franco Berardi Bifo e Carlo Formenti, Cassano tenne una lezione magistrale sul tema weberiano dell’etica dell’intenzione e dell’ etica della responsabilità. Ma mi sfugge oggi il senso dell’etica della responsabilità nel voto al pacchetto del Jobs act del governo, con ampia delega in bianco. Forse è tra le righe in questo pamphlet, dove si sostiene che nell’era della globalizzazione i diritti sociali vanno realisticamente rinegoziati in base alle risorse date. Come dire che dalla teologia economica del neoliberismo non si sfugge con la sola etica delle intenzioni. Ma allora: o il conflitto apre spazi e muta rapporti di forza, oppure, con Hegel, “tutto ciò che è reale è razionale”.
“La sinistra europea e occidentale, sia quella radicale che quella moderata, quando racconta la storia recente ne racconta solo un lato”, scrive Cassano, che nella globalizzazione non vede solo un gioco a somma zero, vale a dire un conflitto amico/nemico, ma una nuova dislocazione di forze su scala globale, una novità di cui tenere conto. La fine dei “trenta gloriosi” del compromesso socialdemocratico, i trent’anni seguiti al secondo dopoguerra, e la fine dello “scontro tra il capitalismo nella sua forma liberale e il socialismo nella sua forma sovietica”, segnano la caduta del vento della storia e la necessità di una nuova visione della coppia concettuale destra/sinistra. In realtà il conflitto che ha segnato la Guerra Fredda, il bipolarismo tra URSS e Stati Uniti, è statoordinativo di un equilibrio mondiale post-secondo conflitto, ma soffocandone i conflitti reali senza rappresentarli, anzi distorcendoli. Quello non funella realtà il conflitto tra “campo socialista” e capitalismo finanziario, ma tra un socialismo di Stato (con un suo particolare sistema di welfare) in salsa totalitaria ed egemonistica e un mondo liberal-capitalista sotto l’egemonia dell’iperpotenza statunitense, che in nome dell’anticomunismo arrivò a fare e giustificare di tutto. Il modello sovietico contemplava un produttivismo e un fordismo nell’organizzazione del lavoro analogo a quello del capitalismo, e con in più tutti gli strumenti di coercizione del conflitto sociale e di annullamento della società civile, oltre che nello strumentalismo dell’aiuto ai “partiti fratelli” e ai Paesi del “campo socialista”. Il conflitto era sovraordinato e distorto dal bipolarismo, in campo nazionale ed internazionale, ed ancora oggi ne subiamo le conseguenze in campo globale. Insomma: quando il comunismo “si fa Stato” e il socialismo reale diventa integralismo produttivistico, lo spazio pubblico e sociale del conflittosi si fa molto difficile, e molti di noi della Nuova Sinistra degli anni ’70 ne avevamo già allora qualche consapevolezza.
È nel capitolo sul presunto profetismo e catastrofismo della sinistra radicale che si appuntano le perplessità principali di Cassano. Non che ne manchino le ragioni. In ogni caso riportare la polemica all’anno zero della coppia concettuale massimalisti e riformisti, o apocalittici ed integrati, è una semplificazione eccessiva e non situata dal punto di vista della processualità delle contraddizioni in atto. Basterebbe pensare al piccolo spazio, contraddittorio quanto si vuole, aperto anche in Italia dalla lista l’Altra Europa conTsipras, in un contesto europeo che vede in Grecia e in Spagna il tracollo dei partiti della famiglia del socialismo europeo e mediterraneo, a vantaggio di nuove formazioni di sinistra. La critica alla metafisica di Toni Negri sull’ idea di un conflitto globale tra Impero e moltitudine è persino scontata, e non va affatto confusa con le tematiche dell’alter-mondialismo. Negri, ancora oggi, ritiene l’opera Mario Trontiil vero elemento di “innovazione teorica dell’ontologia italica del XX secolo”. Strano destino quello degli operaisti italiani, di destra e di sinistra: per leggere in chiave anti-togliattiana il pensiero di Gramsci approdarono a una regressione politica di saporebordighista sul tema delle alleanze e dell’egemonia, negando la dialettica della società civile, nel caso di Negri a favore prima dell’operaio-massa, poi dell’operaio sociale ed infine della moltitudine. Ma è verso le riflessioni di Marco Revelli che la polemica diventa imprecisa e pregiudiziale. La sinistra dei beni comuni viene liquidata come astratta, la sinistra sociale dei movimenti collettivi ritenuta non all’altezza della complessità, si mischierebbero istanze teoriche diverse e spesso auto-contraddittorie nel calderone del catastrofismo apocalittico, cose tutte da argomentare e neppure presenti nella lunga elaborazione di Revelli.
Un nuovo blocco sociale per la sinistra dei diritti, propone Cassano. Liberarsi dal peso del passato, non difenderlo accanitamente, accettare la realtà dei mutamenti, e sin qui apparerealistica la dialettica tra intenzione e responsabilità delle forme del politico. Anche se restiamo ancora nel vago riguardo alla necessità di nuove culture politiche e di un nuovo lessico politico per la sinistra. Per costruire un nuovo blocco sociale bisogna che si arrivi alla “costruzione di un popolo”, affermaFranco Cassano. Questa idea non mi appare in contraddizione, anzi ne è ben conseguente, rispetto alla visione di Alfredo Reichlin di un “partito della nazione”, come a dire una nuova forma di politicismo. Un tentativo di costruzione dall’alto di una nuova egemonia storica, in chiave populistica, è già in atto in questo senso da parte del governo Renzi, con la presenza sovrabbondante di populismi reattivi di ogni tipo in campo, in una dialettica reale di nichilismo politico.
Si ricorderà quella che scherzosamente veniva definita laécolebarisienne, il movimento attorno a Beppe Vacca di trent’anni fa. Fu un crogiuolo di ricerca marxista, da cui poi molti presero vie autonome e diverse, da Cassano a Francesco Fistetti. Ben distanti dall’uso delle lenti distorcenti dell’operaismo italiano, il tentativo di quel tempo all’ Università di Bari fu quello di emancipare Gramsci dall’ipoteca dell’addomesticamento togliattiano, purtroppo restando vincolati a un hegelo-marxismo di fondo, con tentativi successivi di evoluzione attraverso la lettura di Louis Althusser e Nicos Poulantzas e con vistose regressioni togliattiane in Vacca. Sembrerebbe che a quella formazione di fondo ritorni oggi Cassano, per quanto in chiave critica e autonoma, in un processo elaborativo come interrotto.
È nell’ “Interpretazione dei sogni”, del 1900, che Sigmund Freud introduce per la prima volta la nozione di regressione (regression). Nozione descrittiva per dire come di fronte agli scacchi della realtà le vie di fuga verso formazioni precedenti di pensiero, se non proprio verso situazioni psichiche anteriori, sono sempre possibili. Per chiunque, anche per i migliori.
Silverio Tomeo
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