Jung e il Covid-19: dall’Ermeneutica al confronto con la Storia
di Eliana Forcignanò –
Scrivendo con una certa urgenza interiore, avverto tutta le responsabilità di attribuire a Carl Gustav Jung una riflessione su una pandemia che non ha vissuto. Parafrasando il titolo di un celebre film di Almodovar, si potrebbe dire che “parlare con lui” è sempre un impegno gravoso. Se ne esce con più domande e con poche risposte non proprio rassicuranti. Ma Jung, certo, non si sarebbe stupito di questo. E non solo per una congruenza con la filosofia, forse sopravvalutata nella storia della psicologia complessa. L’obiettivo della psicoanalisi non è quello di dare risposte. E ancor meno questo era l’obiettivo di Jung, anche se non di rado il suo modo del tutto peculiare di accostarsi a chi lo interpellava ci strappa un sorriso divertito. Così, nei Seminari sulle visioni dell’artista Christiana Morgan ci si imbatte già nelle prime pagine nel caso di un paziente letteralmente messo alla porta perché aveva rinunciato al progetto di tornare a studiare all’Università e aveva riferito un sogno che indicava il sopraggiungere di una regressione. Provocatoriamente, si sarebbe allora potuto chiedere a Jung se ravvisasse all’interno della relazione terapeutica con questo paziente elementi che in qualche modo avessero elicitato la possibilità della regressione. L’analisi, insomma, si fa sempre in due. Difficile per un analista fornire ipotesi e risposte preconfezionate e universalmente valide se non nella relazione. Il continuo richiamo di Jung a una dimensione empirica del lavoro analitico dovrebbe distogliere dal ricorrere al suo apparato concettuale come in un gioco intellettualistico attraente senza dubbio, ma probabilmente sterile.
Tra continui sconfinamenti che attingono alle aree più disparate e, al contrario, il mangiare archetipi a colazione, pranzo e cena, tra lo Jung fenomenologo e lo Jung archetipico le leggende metropolitane si moltiplicano. E Jung forse lo tiriamo per la giacchetta.
E il dolore? E le immagini interiori? E le domande? L’invito è “ad aprire la bocca dei morti”, come ricordano Hillman e Shamdasani, richiamando il Libro Rosso. Fare i conti con una storia che è personale e collettiva. Questa relazione con i morti, proprio come la relazione analitica, ha un peso non di rado difficile da sostenere, perché è un invito rivolto a ciascuno, un imperativo in certi casi, a prendere consapevolezza di essere in una tensione dinamica non solo con il nostro passato e con il nostro presente, ma anche con le figure della storia. E non si tratta di considerare la storia maestra né di continuare a dire un po’ acriticamente che ne usciremo migliori o peggiori, perché ognuno ne uscirà come potrà e seguendo il flusso di una relazione con se stesso, con il contesto e con le figure interiori che appartengono a una dimensione inconscia personale, ma anche collettiva. Figure umane, animali, di oggetti: come i mandala che ricorrevano nei sogni di alcuni pazienti alle soglie della Seconda guerra mondiale. I “grandi sogni”, come Jung li chiamava, proprio per mettere in luce quel tessuto che lega ciascun individuo al contesto e alla storia di cui è parte e di cui gli stessi archetipi sono parte, in quanto frutto di un’evoluzione filogenetica.
Lo si legge in quel lavoro di lunga e travagliata stesura che fu “Simboli della trasformazione”, per esempio. Archetipi come dispositivi psichici legati all’evoluzione fisica e culturale che entrano significativamente nella costituzione dei simboli. Altro termine spinoso proprio per il suo interrogare le coscienze.
Il Covid-19 è un simbolo? Difficile dirlo ora e in astratto.
“Che cosa significa per te il Covid-19?”, la possibile domanda di Jung. Questo momento di restrizioni in cui anche l’affettività e la sua espressione si fanno più sofferte e si caricano di significati, davvero molto legati al corpo, di per sé in pericolo e però anche isolato e, forse, desiderante, forse inaridito, forse dolente. Il corpo stesso è, d’altronde, un potente dispositivo simbolico e Jung non lo ignorava: le immagini del Libro Rosso sono vivide proprio perché sono corpo.
Alla fine dovremo sbrigarcela senza guru? Forse sì, forse no. Vale, per Jung e per noi, l’equazione personale. Ma è un ossimoro: un’uguaglianza che però assume valore diverso per ciascuno. Eppure su questo potremmo scommettere: su un comune declinato individualmente e insieme condiviso.
Eliana Forcignanò
PhD. in Scienze della Mente e delle Relazioni Umane
La Gazzetta del Mezzogiorno, 29 aprile 2020
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