di Antonio Stanca –

Alejandro Jodorowsky è nato nel 1929 a Tocopilla, Cile Settentrionale, da genitori russi di origine ebrea che qui erano emigrati, ha novantuno anni e da quando ne aveva ventiquattro è vissuto ed ha lavorato in Francia spostandosi ogni volta che la sua attività, soprattutto quella cinematografica, lo richiedeva. Varia e vasta è stata questa attività, un autore quanto mai eclettico, poliedrico può essere definito Jodorowsky.
A Parigi intorno agli anni ’50 aveva fondato, insieme ad altri autori francesi, il movimento teatrale Panico. Saranno, però, il cinema, il suo lavoro di regista oltre che di sceneggiatore, attore, costumista, a procurargli la notorietà della quale gode, saranno film come El topo (1971), La montagna sacra (1979), a fargli raggiungere un pubblico internazionale. Carichi di fantasia, di magia, erano stati quei film. In essi Jodorowsky aveva continuato a cercare quella surrealtà che fin dalla prime prove teatrali a Parigi era comparsa come la sua aspirazione maggiore, quella che tanto gli aveva fatto ammirare André Breton. Così anche nelle opere letterarie, romanzi, racconti, poesie, saggi, dove continua sarebbe stata una condizione sospesa tra realtà e idea, terra e cielo, veglia e sogno, umano e divino. E così pure nei fumetti, dei quali Jodorowsky sarà autore prolifico e nei quali la vita, la storia e l’immaginazione, la fantasia, si combineranno in modo ancor più riuscito che nel cinema e nella letteratura. Andare oltre i limiti del tempo, dello spazio, oltre quanto visto, sentito, cercare verità più estese, entrare a far parte di esse e come esse diventare, cioè infiniti, eterni: è il senso dell’intera opera di Jodorowsky, quello che lo farà approdare alla Psicomagia, gli farà credere questa superiore alla psicologia, alla psicoanalisi nella cura delle malattie, gli farà scrivere opere ad essa ispirate, lo convincerà che  possa rappresentare una forma d’arte, gli farà pensare di essere diventato un guaritore.
A portarlo alla Psicomagia, allo Psicosciamanesimo era stato anche il rapporto avuto in precedenza, intorno agli anni ’60, con la guaritrice messicana Pachita. Era stato tanto importante quanto da lei appreso da averne parlato in due opere, La danza della realtà e Psicomagia.
Nello stesso periodo, quando aveva poco più di trent’anni e ancora tanto da fare, nello stesso Messico della “curandera” Pachita, mosso dalle stesse aspirazioni di appagare lo spirito tramite l’acquisizione di verità superiori, Jodorowsky s’imbatterà in un maestro di vita giapponese, il monaco EjoTakata. Per quanto serviva, invece, al suo corpo utili saranno le esperienze vissute, pure allora in Messico, con alcune “maghe”, donne in quel momento molto note, molto in vista. Sarà lo stesso Ejo ad orientarlo verso di esse.

A questi bisogni, a questi eventi, al loro ricordo, alla loro ricostruzione, si riferisce l’opera Il maestro e le maghe che ad Aprile dell’anno scorso la Feltrinelli ha ristampato nella “Universale Economica”. La traduzione è di Michela Finassi Parolo.
Quando la scrisse, nel 2005, Jodorowsky aveva settantasei anni e più volte si era soffermato a chiarire che il suo desiderio di “altre verità” era dovuto a carenze di attenzione, di affetto patite durante l’infanzia e l’adolescenza. Gli era sembrato di crescere da solo e d’allora era stato alla ricerca di una persona, un ambiente, un pensiero, un’idea, un rapporto che gli fosse di aiuto.
Molto gli sarebbe venuto dal rapporto con Ejo e molto da quello con “streghe” quali la pittrice Leonora, l’attrice Irma, la massaggiatrice Dõna, l’occultista Reyna. Arricchito era uscito il suo spirito dalla lunga frequentazione col monaco, tante erano state le verità apprese dai suoi insegnamenti. Avevano temprato il suo carattere. Ejo lo aveva avviato alla meditazione, al buddhismo zen, ai Koan, i famosi quesiti che richiedono risposte superiori a quelle della ragione, della logica, le famose riflessioni che conducono verso la tanto cercata illuminazione, verso la partecipazione della dimensione divina.
Dalle “streghe” gli era venuta un’altra conquista, quella di sentirsi libero da quanto lo teneva isolato,di diventare partecipe della vita di tutti, di uscire da sé ed entrare nel mondo, di voler amare, di poter amar, di poter essere amato.
Era cresciuto quell’uomo che si sentiva ancora un ragazzo limitato dalle difficili condizioni familiari. Ora poteva procedere meglio e da solo, poteva diventare l’intellettuale, l’artista che tutti avrebbero apprezzato. E tutto era avvenuto tramite quell’infinità di situazioni, espressioni, pensieri, azioni che lo scrittore aveva fatto scorrere in quest’opera con facilità, chiarezza, abilità.  
Grand’ufficiale dell’Ordine al Merito Educativo e Culturale Gabriella Mistrali: sarebbe stato questo il riconoscimento che nel 2002 Jodorowsky avrebbe ricevuto «per la sua indiscussa carriera artistica e per il contributo dato allo sviluppo della cultura nazionale e in altri paesi».

Antonio Stanca