Il “Libero” livore
di Marcello Buttazzo –
Al Festival di Sanremo, Beatrice Venezi ha ritenuto che la dizione opportuna per definire la sua professione fosse “direttore d’orchestra”, anziché “direttrice”. Probabilmente, la polemica che ne è seguita è un po’ abnorme, dal momento che la signora Venezi non commette alcun reato nel farsi chiamare “direttore”. Ovviamente, una diatriba così stantia non poteva non attrarre l’attenzione di Vittorio Feltri, che, nell’editoriale di “Libero” di venerdì 8 marzo, festa della donna, ripete fiaccamente i suoi consolidati clichés contro le femministe, contro i cosiddetti “sacerdoti del politicamente corretto”. Livore manifesto contro l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, che aveva avuto la pretesa di “femminilizzare la denominazione dei mestieri”. A un certo punto del suo pezzo, il direttore editoriale scrive: “Da sempre ciascuno parla come cacchio gli pare”. In parte, è così. Epperò, un giornalista, ad esempio, come lui, da sempre esposto sulla carta stampata, ospite nei salotti televisivi di prima e seconda serata, dovrebbe essere molto accorto nel maneggiare un linguaggio appropriato e rispettoso degli altri. Soprattutto lui, il Fondatore di “Libero”, che tuona reiteratamente contro i sinistrorsi e le femministe, responsabili (sempre secondo il suo parere) di volerci fare adeguare ad un “nuovo misero lessico”, dovrebbe imparare a modulare più contegnosamente il suo linguaggio. Feltri rivendica la sua libertà di dire “negro”, invece di nero. Lui usa scrivere tranquillamente, parlando di cittadini omosessuali, “culattoni, checche, finocchi, invertiti, pederasti, froci”. Che dire? Feltri continui pure a parlare e a scrivere come gli riesce meglio. Come è nelle sue corde, nella sua sensibilità, nella sua cultura.
Marcello Buttazzo
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