di Antonio Stanca –

Sull’”Avvenire” (sabato 27 agosto) ho letto alcune notizie raccapriccianti. In Sicilia, nella Casa Circondariale di Caltagirone, Simone Melardi, s’è tolta la vita impiccandosi nella sua cella. L’uomo di 44 anni si trovava in prigione perché accusato d’aver rubato un telefonino e un portafoglio. Secondo i medici, Melardi era affetto da disturbi della personalità e abusava di alcolici. Era in attesa di entrare in una Comunità terapeutica assistita, era sottoposto a regime di “grande sorveglianza”. Nel carcere Vocabolo Sabbione di Terni, un detenuto di 49 anni, di origini marocchine, s’è tagliato le vene con una lametta. Sono 56 dall’inizio dell’anno i suicidi fra le sbarre di dura ferraglia. Forse, a questo punto, dopo tanti lutti, la politica dovrebbe intervenire, non tanto con misure securitarie, ma con saggi e mirati provvedimenti di natura sociale e culturale. Per l’innanzi, il carcere andrebbe ripensato e rimodulato nella sua essenza più intima. In tante prigioni sono prevalenti sovraffollamento, scarsa igiene, carenze di personale, gruppi criminali interni che minacciano e ricattano detenuti e agenti. In tanti luoghi di detenzione del Paese i rimedi riabilitativi sono carenti. I carcerati e la polizia penitenziaria pagano le colpe e l’inadeguatezza d’una certa noncuranza istituzionale. Pertanto, ben vengano le proteste pacifiche e non violente di Alberto Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria, che ha deciso di iniziare uno sciopero della fame per denunciare il degrado assoluto del carcere di Sollicciano, a Firenze. E propositivo è, senz’altro, lo sciopero della fame messo in atto dalle detenute delle Vallette di Torino, che si protrarrà a staffetta fino al 25 settembre, giorno delle elezioni, alfine di stimolare la politica dominante ad adottare strategie più redditizie, più umane.

Marcello Buttazzo