di Marcello Buttazzo – L’opinione pubblica, allorquando sente parlate di Organismi geneticamente modificati, appare talvolta spaesata, spaventata, disorientata. Come se essi fossero il male assoluto del mondo. Qualche volta, una certa deteriore propaganda di importanti associazioni ambientalistiche (e solo per rimanere all’Italia, l’atteggiamento di chiusura di tutti i ministri dell’ambiente di qualsiasi schieramento politico e ideologico) ha contribuito nei fatti a creare il “mostro biologico” da esorcizzare a base di leggi restrittive. Ma, come si sa, il diavolo è meno brutto di come lo si dipinge. Da anni, molti studiosi portano avanti la campagna europea per il rilancio del riso Ogm, il “golden rice”. Indubitabilmente, questa pianta modificata mediante tecniche biotecnologiche contiene al suo interno betacarotene. Si potrebbero così sfamare, nei Paesi più desolati e depressi, milioni di poveri, che attualmente muoiono per carenza di vitamina A o soffrono di gravi patologie oculari fino alla cecità. Gli scienziati, da tempo, si rivolgono alle associazioni ambientaliste affinché almeno il “golden rice” sia esentato dalla politica di tolleranza zero verso le piante transgeniche. Da anni e anni, il dibattito sugli Organismi geneticamente modificati continua senza sosta. Greenpeace, altre associazioni, diversi biologi, sostengono che le piante geneticamente modificate possano “infettare” gli ecosistemi e, soprattutto, temono che i brevetti stramiliardari diventino monopolio di poche privilegiate multinazionali. Nel mondo scientifico nazionale e internazionale, però, c’è chi ritiene che finora abbiamo assistito ad un dibattito truccato, ideologico. Difatti, c’è chi afferma che i rischi di contaminazione e di “inquinamento” siano solo apparenti, dal momento che il flusso artificiale di geni nell’ambiente è in atto da secoli. Nel luglio 2016, è stata divulgata una lettera di 110 premi Nobel, indirizzata a Greenpeace, alfine di invitare tale Organizzazione a una maggiore trasparenza e onestà intellettuale nel riportare fatti e dati scientifici. Due scuole di pensiero, due scuole antitetiche si contrappongono. Fuori dalla diatriba scientifica (che, senz’altro, spetta strettamente a chi ha conoscenze adeguate tecniche e bioetiche), da comuni cittadini possiamo però notare che qualche problema sussiste. Una moderna rivoluzione tecnologica deve, comunque, essere sottoposta ad una rigorosa regolamentazione normativa a seconda delle esigenze dei vari Paesi. E, soprattutto, accertata irrefutabilmente la non nocività di certi prodotti della ingegneria genetica vegetale, è necessario più che mai che gli Stati esercitino una sorta di controllo stringente sui brevetti. Non è eticamente accettabile e sostenibile che una ristrettissima élite di persone diventi, di fatto, economicamente proprietaria della Natura e effettui spregiudicatamente una virulenta colonizzazione dei Paesi del Terzo Mondo, obbedendo a piattaforme rapinose e di spoliazione. Se però ci dovessero essere riscontri severi e serrati, se si riuscisse a depotenziare l’abnorme strapotere delle potentissime multinazionali, si potrebbe accogliere a piene mani l’appello accorato di tanti scienziati che chiedono saggiamente a Greenpeace e ai suoi alleati di “permettere un’eccezione umanitaria alla loro politica di tolleranza zero sulla modifica tramite ingegneria genetica”.

Marcello Buttazzo, 23 ottobre 2017