di Marcello Buttazzo –

Su “Zia Valeria” di Rocco Boccadamo (Spagine, 2019)

La memoria è forziere intimo, forziere d’amore. La memoria è il filo rosso che ci conduce sui sentieri di trascorsi vissuti. È il mare sterminato dove navigano i vascelli incantati, le barche serene e turbolente della nostra adolescenza, della giovinezza. La memoria è l’eternoritorno, che si perpetua per nostra consapevole beatitudine. Rocco Boccadamo, in questa nuova pubblicazione “Zia Valeria”, uscita per i tipi di Spagine Edizioni (dicembre 2019), ripercorre i sempiterni selciati della sua adolescenza, della giovinezza, della maturità, preservando intatto il suo sguardo trasognato, il suo fare stupito e fanciullo. L’autore, con il passare degli anni, conserva il suo incedere placido sulle cose del mondo, sugli eventi della vita. La sua è una prosa del quotidiano, degli eventi semplici e ordinari, che si succedono e vengono tratteggiati nei loro lineari accadimenti. I protagonisti degli scritti di Rocco Boccadamo sono uomini e donne del popolo: contadini, pescatori, persone semplici, che, al cospetto dei fatti dell’esistenza, manifestano il loro sentire eccezionale, la profonda umanità, una malcelata dignità. Zia Valeria è la sorella più piccola di Immacolata, mamma di Rocco, scomparsa prematuramente. Zia Valeria viene descritta con commozione, con trasporto. La donna, che vive adesso al Nord, nel 2018 è tornata a far visita ai suoi cari e alle sue terre. E Rocco indugia sulla figura della amata zia con devozione. Il libro di Boccadamo è una prosa degli affetti, che si sono rinsaldati negli anni. Lui, per lavoro, s’è dovuto spostare in continuazione, da Taranto a Milano, a Messina, a Monza, a Roma, a Lecce. In tutte le città, ha coltivato amicizie proficue, degne di amorevoli cure e mirate corrispondenze. Dicevamo che la sua è una prosa dell’ordinarietà. E, in effetti, Rocco si sofferma su narrazioni minimalistiche: sui compagni di scuola, sui suoi compaesani, sulle tante persone incontrate sulle strade alterne dell’esistenza. Alcune pagine sono ancora più commoventi: ad esempio, quando rammenta la nascita dei suoi figli, gli spostamenti in macchina per l’Italia per lavoro (su modeste Fiat 500 e Fiat 600), quando evoca la fatica nelle mani e negli occhi di poveri contadini e pescatori, quando con animo docile si prende cura dei suoi affetti, delle persone amate con inchiostro di sangue. La scrittura del ricordo e sul ricordo colpisce significativamente, perché i vissuti sono floridi e sempre vivi, sono brillanti di lucore e di passione. Alcuni protagonisti sanno prefigurare scenari densi di pathos. In tal senso, possiamo rammentare il riferimento alla adorata madre Immacolata e al pescatore 95enne Nino, che non riesce ad uscire più con la barca in mare e osserva, con nostalgia, le vele ammarate e stanche. Pagine d’amore e d’umana bellezza sono quelle sui nonni paterni, Cosimo e Consiglia. Un velo di melanconia (propositiva, mai invalidante) s’impadronisce dell’autore, allorquando ritorna sui tempi giovanili, sule passate vicende. Più d’ogni cosa esiste una mappa geografica e salentina, che traspare in tutte le pubblicazioni di Rocco Boccadamo, e ancor più in “Zia Valeria”. I luoghi della sua infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza, hanno un’anima pulsante, un cuore che batte. Castro, Marittima, l’Ariacorte, con le loro insenature, con i mari cristallini, con i loro colori adamantini, sanno tralucere di sogni, sogni sempre vividi, che i muovono nel sommerso e nel manifesto. Sono terre fitte di splendore, che oggi attraggono i turisti, ma che un tempo erano popolate di gente umile, dedita al lavoro. Qui, a Marittima, Rocco Boccadamo ha la sua piccola villa, ancora oggi, “La Pasturizza”, il suo buon ritiro. Qui si ritrova con i suoi figli, con la moglie, con i tanti nipotini e nipotine, per rinnovellare la favola bella.

Marcello Buttazzo